Qualche tempo fa ho incontrato Paolo Pulici nel campetto di Trezzo dove allena i ragazzini a diventare uomini, ancor prima che calciatori. Abbiamo chiacchierato un po’. E lui mi ha raccontato la vera storia del suo piede sinistro, che mi sembra perfetta per festeggiare il ricordo di quel 16 maggio 1976.

“Da ragazzo usavo solo il destro. Quello era il mio piede forte, il sinistro era il piede debole. Così pensavo fino al giorno in cui, al campo Filadelfia, un allenatore dei ragazzi del Torino non mi prese in disparte con parole più ruvide di quei muri segnati dalla storia. “Paolo, qual è il tuo piede forte?”, mi chiese. Io gli risposi subito, senza pensarci: “Il destro”. Ovvio? Macché. Io lo davo per scontato ma lui mi prese in contropiede: “Hai sbagliato”. Disse proprio così: “Hai sbagliato”. Secco. A muso duro. E mentre io ero lì a interrogarmi su un errore per lui così chiaro e per me incomprensibile, fui investito dalla seconda domanda: “Quanto pesa la palla che tiri in porta?”. Non capivo. Non riuscivo a capire. Provai a rispondere, quasi balbettando: la palla pesa circa 400 grammi. “E tu quanto pesi?”. Allora pesavo 70 chili. “70 chili”, dissi. E lui mi inchiodò alla parete dello spogliatoio con una conclusione che non ammetteva repliche: “Lo vedi? Quando tiri in porta usi due piedi: il destro colpisce 400 grammi, il sinistro regge 70 chili”. Fece una pausa, mi guardò, prima di lasciarmi lì, attaccato al muro e alla sua storia, con la stessa domanda di prima, ma questa volta senza risposta che non fosse il mio silenzio. “Allora Paolo, qual è il tuo piede più forte?”.

Da quel momento ho capito che il sinistro poteva diventare il mio piede più forte. E lo diventò. Con il destro tiravo a 130 chilometri all’ora, con il sinistro arrivai ai 160 all’ora. Con il destro toccavo la palla ferma, con il sinistra quella in movimento. Con il destro il portiere toccava e parava, con il sinistro non ci arrivava mai. Il sinistro era il mio piede più forte, reggeva il mio corpo mentre il destro si librava in aria a tirare, il sinistro aveva dentro una potenza inimmaginabile, e io non lo sapevo. Ora lo racconto ai bambini, quando li faccio allenare sul campetto di Trezzo d’Adda, con strumenti e parole che ormai nessuno usa più. Cerco di trasmettere loro quello che capii quel giorno, e che forse contiene dentro di sé, nella sua semplicità, il vero spirito del Toro, il senso di quella maglia e di quello stadio che ha visto scorrere la leggenda dei campioni: in fondo era tutto lì, nella storia di un piede debole che diventa forte. E’ il ribaltamento delle possibilità, la rimonta sempre possibile, il partire da una posizione svantaggiata e trasformarla in forza. Il tremendismo granata, che ha fatto scrivere parole commoventi a grandi autori e poeti, che altro è se non questo? Non bisogna cedere alla propria debolezza, non ci su può arrendere di fronte a ciò che a prima vista sembra più forte, che si esso una parte del corpo, la Juve della Fiat o il fato avverso. Perché se ci credi puoi batterli. Se ci credi puoi sovvertire tutto. Se ci credi puoi superare tutti. Ed è per questo che il Toro è qualcosa di più di una squadra di calcio. E’ un valore universale. Una speranza scritta in cielo. Un messaggio che dice così: anche quando pensi di aver contro tutto, ce la puoi fare. E la forza non è fuori di te. E’ dentro di te. Persino nel tuo piede sbagliato”.

 

 


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