Bologna-Torino: comincia il campionato e il prof Fabrizio Bellone ricorda una trasferta con i Fedelissimi nella città delle due torri

Era da un po’ che quell’uomo mi camminava accanto. Uscendo dallo stadio, nella ressa del dopopartita non ci avevo fatto caso, tutto preso a recriminare sul risultato avverso e su quanto la fortuna non ci fosse stata amica. Papà ascoltava con pazienza, mi lasciava sfogare e, di tanto in tanto, interveniva per smorzare i toni, per smussare gli angoli di una tensione che faceva, giustamente, parte di una partita persa senza alcun demerito. Era stato allora che quell’uomo anziano mi si era proprio accostato e mi aveva rivolto la parola. “Ascolta me, ragazzo -aveva detto- ascolta uno che ha visto vincere il Bologna quando faceva tremare il mondo, uno che ha visto giocare Schiavio e Biavati, Bulgarelli e Pascutti, ma anche quella squadra formidabile che era il Grande Torino. Fidati, vedrai che alla fine della stagione i punti persi oggi non vi serviranno”.

Così aveva detto. Poi, con la stessa discrezione con la quale si era avvicinato, aveva allargato il passo e si era definitivamente confuso tra la folla che lasciava lo stadio Comunale, alle spalle della collina di San Luca. Lo aveva fatto senza attendere la mia replica, quasi non ce ne fosse stato bisogno. Avrei voluto ben dirgli “la fa facile lei, intanto avete vinto e noi non portiamo a casa niente”, ma il discorso era già chiuso. Il campionato partiva con una sconfitta in trasferta e io, arrivato al pullman dei Fedelissimi Granata che ci avrebbe riportati a casa, avevo divorato l’ultimo panino che mi ero tenuto, poi ero salito e avevo cominciato a rimuginare su quanto quel vecchio mi aveva detto. Più ci pensavo, più mi sapeva tanto di consolazione, una frase di circostanza pronunciata per lenire la mia giovane rabbia.

Eppure avevamo tante belle aspettative per quell’annata, che andava a cominciare con una sconfitta. I pezzi forti della stagione precedente erano stati tutti confermati, da Pupi a Graziani, dal Giaguaro a Claudio Sala. Aveva lasciato per anzianità il capitano di mille battaglie, Giorgio Ferrini, per fare il secondo ad un nuovo tecnico giovane e ambizioso. Ma a sostituirlo era arrivato un prospetto interessante come Pecci, in uno scambio che aveva portato “Trincea” Cereser al Bologna e Caporale a Torino. A centrocampo, poi, ci si attendeva la crescita di Zac e dalla serie C piombava un giovane cursore di belle speranze, che di nome faceva Patrizio e di cognome ne portava uno giusto. Tutto vero, ma intanto avevamo beccato 1-0, con un gol di un mezzo ex come Bertuzzo. Avevamo replicato, avevamo attaccato, avevamo avuto le nostre occasioni, ma non era servito a nulla.

Non sapevo ancora, all’epoca, che Radice avrebbe fatto quadrare il reparto arretrato, rinunciando all’idea di utilizzare Nello Santin come libero, per spostarlo in marcatura e lanciare Caporale al centro della difesa. Che avrebbe trovato l’equilibrio sulle corsie, grazie all’intelligenza tattica di Salvadori e alla corsa di Pat Sala. Che Pecci si sarebbe dimostrato un regista sopraffino e Zaccarelli un centrocampista straordinario. Che la squadra avrebbe cominciato ad aggredire in pressing a tutto campo, rubando palla, per servirla subito ai quei tre davanti, che erano devastanti. Non avevo capito dove avremmo potuto arrivare, così come non sapevo ancora che quella sarebbe stata l’ultima trasferta che avrei fatto con mio padre. Era il 5 ottobre 1975 e speravo che avremmo fatto un campionato dignitoso, che allora significava migliorare il sesto posto dell’anno precedente. Invece, tutti sappiamo come andò a finire. Sarei tornato altre volte in quello stadio, dopo il 1983, quando avrebbe cambiato nome, portando quello del presidente dei cinque scudetti, quel Renato Dall’Ara in carica dal 1934 al 1964. Ancora oggi mi chiedo per quale motivo Ferruccio Novo, artefice del Grande Torino, abbia avuto in dote scelte diverse, meritando appena l’intitolazione di un giardinetto. Al di là dei meriti sportivi, non riesco a non pensare al valore dell’uomo. Nello stesso periodo storico in cui Dall’Ara si liberava dello scomodo allenatore dei due scudetti consecutivi, abbandonando senza una parola Arpad Weisz al suo destino nonostante una netta vittoria sulla Lazio, ben diverso era stato il comportamento di Novo, che aveva tutelato Egri Erbstein con un lasciapassare valido in tutta Europa come rappresentante di pellami. Due ebrei ungheresi, due atteggiamenti differenti. Il primo accantonato e dimenticato in fretta dal suo presidente, il secondo tutelato con coraggio, come si poteva a quei tempi, senza riuscire a impedirne la deportazione, ma senza lasciarlo inerme verso la capitolazione.

Sarà, forse, anche per questo che non riesco ad avere in simpatia i colori rossoblu. O anche perchè dentro quello stadio ho vissuto soltanto sconfitte, anche pesanti, come il 5-2 del 2008.Quindi, da vecchietto quale sono, voglio incitare così i nostri ragazzi: “dateci dentro, questi tre punti ci serviranno tutti!”


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Immer
6 anni fa

A Bologna abbiamo giocato anche la prima 28 /08/1999 e questo campionato sinceramente non ricordo come fini ma speriamo che sia uguale a quello dello scudetto

Massimo 1963 (lamaratona2.0)

Me la ricordo quella trasferta di Bologna. Avevo 12 anni.
Bei tempi… Quanto tempo…

GrilloParlante
GrilloParlante
6 anni fa

Amen!

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A Benevento una partita d’altri tempi