Il terzo sistema di gioco in quattro partite dimostra flessibilità ma certifica anche che qualcosa non è andato liscio sul mercato
CI abbiamo fatto il callo, ormai, ai cambiamenti tattici. Dopo anni in cui raramente la squadra granata cambiava vestito nella stessa stagione, da Vanoli a Baroni abbiamo invece assistito a un qualcosa di diverso. Ossia alla capacità di rendersi conto della fatica che il Torino avrebbe fatto con un determinato sistema pensando quindi a nuove soluzioni. Baroni lo ha fatto più velocemente dato che abbiamo visto il Torino adottare tre sistemi di gioco diversi, dal primo minuto si intende, nel giro di quattro partite. Uno, il 4-2-3-1 provato per tutta l’estate, sarà quasi certamente accantonato, il 4-3-3 oltre al 3-4-2-1 visto ieri saranno invece probabilmente presi in considerazione a seconda degli avversari. A leggere la formazione prima della partita contro la Roma abbiamo pensato (forse non tutti, ma in tanti certamente sì) che Baroni fosse piuttosto confuso a sperimentare così tanto, specialmente in difesa, considerate le due settimane in cui proprio quel reparto è stata azzerato – tranne Ismajli – dalle nazionali. Alla fine, come sempre, conta quello che il campo dice. E il campo ha detto che la scelta di rischiare ha pagato. Piuttosto la considerazione riguarda la scelta di non andare avanti con un sistema (il 4-3-3) che in linea teorica convince l’allenatore, altrimenti non avrebbe scelto di cambiare tutto dopo la preparazione estiva, ma che nella pratica non gli consente di far rendere la squadra al massimo. Questo perché in alcuni ruoli il mercato non è stato di grande aiuto e l’inventiva è l’unica carta disponibile per non arrendersi all’evidenza. A Roma è andata bene, col centrocampo a tre era andata meglio delle primissime uscite amichevoli: insomma, il coraggio di Baroni è da sottolineare ma più di una domanda su come il mercato è stato condotto non possiamo non farcela.
