Tra i soldi incassati e non ancora spesi, il Torino ha un tesoro per il calciomercato: e ancora da stabilire è il futuro di Belotti

Ci sono 32 buoni motivi perché il Torino, da subito, possa giocare un ruolo di primo piano in questo calciomercato. 32, come i milioni che in casa granata si sono accumulati dalla sessione estiva, passando per quella invernale, della scorsa stagione. Tra incassi e soldi già spesi, il club di Urbano Cairo parte con un bottino che non è da tutti. Ma che è fondamentale pensando di dover costruire davvero una squadra da Europa. Perché quei soldi? Chiaramente, a fare la differenza sono quelli da incassare, ma già preventivati in realtà da un anno, di Peres e Maksimovic. A questi si devono aggiungere le cessioni di Jansson e Martinez: una cifra di quasi 50 milioni, dalla quale qualcosa già da togliere c’è.

C’è per esempio il riscatto anticipato di Iago Falque, pagato 6 milioni perché il Torino ha tolto dalla Roma un esubero come Iturbe (a proposito, i giallorossi vorrebbero capire le intenzioni dei granata sul paraguaiano, che sembrano tutt’altro che positive). C’è l’acquisto di Vanja Milinkovic-Savic a poco più di 3 milioni. C’è poi l’arrivo di Lyanco: un investimento, questo, molto pesante. Intorno agli 8 milioni. E poi? Poi basta: il Toro si è mosso a suo tempo, ma ora ha un vero e proprio forziere da aprire e da utilizzare in larga parte per poter strutturare una squadra davvero competitiva in ottica europea.

Anche perché difficilmente gli incassi si fermeranno qui. In casa granata si sta infatti pensando alla cessione di un altro elemento di valore, come Marco Benassi: che potrebbe portare in cassa un ulteriore entrata di 15 milioni. Il tutto, senza ovviamente considerare la delicatissima questione Belotti. Soldi, insomma, ce ne sono. E anche tanti. Soldi che potranno permettere a Cairo di gestire senza sforzi la squadra dal punto di vista degli stipendi e da quello del mercato, se si considerano anche le annuali entrate per i diritti tv. Toccherà poi a Petrachi scegliere i nomi giusti: gli investimenti, soprattutto all’estero, dove si continua a non appoggiarsi su una consolidata rete di osservatori, ma su saltuarie e sporadiche collaborazioni (poco fruttuose, visti i recenti risultati), non sono sempre andati a buon fine. Questo può davvero essere l’anno della svolta. Per tutti. L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.