Dejan Danza, meno di un mese fa diventava campione d’Italia. Cosa ha provato a Chiavari?

E’ stata un’emozione unica, fantastica, sia per il traguardo in sé, sia per il percorso che abbiamo fatto in questa stagione. Nessuno ci dava per favoriti, né all’inizio del campionato regolamentare, né una volta giunti alle Final Eight, e per questo è stato ancora più bello. Lo Scudetto è la meritata ciliegina al termine di un cammino splendido.

 

Qual è stato il segreto di queste finali così ad alto ritmo nonostante le fatiche accumulate durante il campionato?

Dall’ultima della stagione regolamentare, contro il Varese, ai quarti di finale contro il Milan è passato un mese. Non è stato facile passare così tanto tempo senza giocare e riprendere il ritmo per le sfide più importanti dell’anno, ma Longo e tutto lo staff hanno fatto un lavoro egregio per farci trovare al top per queste Final Eight. Ci siamo allenati molto bene tra maggio e giugno, perché tutti sapevamo cosa saremmo andati a giocarci. I nostri sforzi sono stati ripagati: infatti, proprio nella sfida contro i rossoneri, siamo usciti alla distanza, e la ripresa è stata molto più brillante rispetto al primo tempo. Da lì, poi, siamo andati in crescendo, fino alla finale contro la Lazio.

 

Lo Scudetto è arrivato ai rigori e lei è stato un protagonista assoluto nei tiri dagli undici metri: quattro tentativi, quattro gol.

I penalty sono sempre così: o li sbagli, o li segni, non c’è mai una via di mezzo. La bravura si mischia alla fortuna, ma noi siamo arrivati preparati anche a questa eventualità. Nella rifinitura prima della sfida contro il Milan, infatti, abbiamo provato i tiri dal dischetto, proprio per non farci trovare sorpresi se la partita si fosse protratta oltre ai tempi regolamentari e supplementari. E poi, devo ammettere che io ho studiato molto i portieri che mi sarei trovato di fronte: e per fortuna tutti i rigori, compreso quello più pesante in assoluto contro la Lazio, sono andati dentro.

 

Moreno Longo: quanto c’è di suo in questo tricolore?

Il mister è stato davvero determinante, ci ha stimolati dall’inizio alla fine della stagione. E’ un bravissimo allenatore, un grande motivatore e soprattutto è molto preparato. Infatti, ogni settimana, oltre ovviamente a lavorare sulla tecnica e sulla tattica, guardavamo spesso i video dei nostri avversari: curavamo ogni dettaglio, sia in fase difensiva che in quella offensiva. E poi, lui voleva intensamente questo Scudetto, sia per il suo passato nelle giovanili granata, sia per la sconfitta dello scorso anno. Non oso immaginarmelo se avesse perso un’altra finale ai rigori per due anni di fila! (ride, ndr).

 

Da qualche settimana, però, lei non è più un giocatore del Toro. Cosa non ha funzionato?

Io sono arrivato in granata dalla Pro Vercelli in prestito secco, quindi al termine della stagione sono rientrato alla base per poi approdare, pochi giorni fa, alla Reggiana. Sono molto dispiaciuto, speravo di restare, anche per l’affetto che mi hanno dimostrato i tifosi. Infatti mi hanno stupito tutti i messaggi che ho ricevuto da parte della gente granata, sono contento di aver lasciato un bel ricordo. Ora, però, sono pronto per una nuova avventura: voglio ritagliarmi uno spazio nel calcio dei grandi.

 

Lei ha un passato anche con il bianconero della Juventus: c’è qualche differenza con il settore giovanile del Toro?

Ho sempre trovato allenatori molto preparati, quindi direi che a livello tecnico-tattico non differiscono di molto, in entrambe le società curano molto i particolari prima delle partite. Come “politica”, invece, devo dire che al Toro ci sono molti più giocatori italiani: sicuramente questo è dovuto a motivi economici, con la Juve che ha grandi disponibilità per acquistare stranieri. Quindi, i granata puntano maggiormente sui nostri talenti, i bianconeri tentano invece di scovare giovani dall’estero. 


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