Sessanta presenze con la maglia granata e ventisei con quella del Pescara; Elvis Abbruscato, in esclusiva per Toro.it, presenta la prossima sfida di Coppa Italia e analizza l’evoluzione compiuta dal Torino negli ultimi anni. Un occhio esperto al mercato e il ricordo delle emozioni vissute in quel Torino-Mantova dell’11 giugno 2006.

 

Che partita sarà quella di domenica?
Una partita che ha un valore relativo, sarà soprattutto utile a Ventura per capire a che livelli di preparazione è la squadra e lo stesso varrà per Oddo e il Pescara. Questo turno di Coppa Italia sarà importante per testare la prestanza fisica e per provare qualche nuovo schema tattico. Il risultato non sarà il primo pensiero degli allenatori, anche se sicuramente i granata hanno più pressione.

 

Quali possono essere le insidie per il Torino?
Il fatto che il Toro arrivi da un finale di campionato molto convincente aumenta le pressioni e le aspettative; questo non può che aiutare il Pescara. Gli abruzzesi si sono affidati a un allenatore molto giovane per fare un campionato da protagonisti.

 

Arrivare fino in fondo in Coppa Italia può essere un obiettivo concreto?
La Coppa Italia non è solo per le big: possono arrivare in finale squadre di “seconda fascia”, anche se penso che il Torino non meriti questa etichetta per storia e blasone. La finale è certamente un obiettivo difficile, ma con la rosa a disposizione di Ventura non è affatto impossibile. L’importante è riuscire a gestire bene le risorse fisiche in tutto il corso della stagione.

 

Che Toro sta nascendo?
La società sta applicando una giusta filosofia puntando molto sui giovani con qualità e voglia di affermarsi, soprattutto visto le difficoltà economiche che hanno molte società in questo momento storico calcistico.
I nuovi arrivati sono giocatori giovani per la media del campionato italiano, ma hanno una buona esperienza: profili giusti per fare un grande campionato.

 

Cos’è cambiato nel Torino dal 2006/2009 a oggi?
Adesso c’è un profilo societario, un filo conduttore che unisce tutti. Il Presidente ha trovato degli appoggi in Petrachi, Ventura e in tutta quella che è la rete tecnica della società. Hanno trovato un’ottima stabilità e su questo stanno costruendo dei buoni risultati sportivi.

 

Le piace l’impostazione tattica del gioco di Ventura?
Sì, mi piace, e penso che possa ancora migliorare: il suo calcio ha margini di crescita e Ventura di anno in anno dimostra di aggiungere dei tasselli, senza fossilizzarsi su un unico modo di pensare il calcio. I cambi di modulo e delle impostazioni tattiche avvenuti in questi anni lo dimostrano.

 

Quagliarella, Maxi Lopez, Martinez, Amauri e un probabile nuovo acquisto: è un attacco competitivo?
Sono tutti attaccanti di livello, ma manca un giocatore che dia profondità. Il gioco di Ventura si sviluppa molto dal basso e quindi c’è bisogno di giocatori veloci e bravi a attaccare le difese nella profondità. Le punte attuali amano maggiormente andare in contro al pallone, lo stesso Martinez è un giocatore di raccordo che non attacca tanto la profondità. Sicuramente il Torino sta cercando giocatori come Belotti e Hernandez per aggiungere questa caratteristica al parco attaccanti attuale.

 

La prima scelta è Belotti. Sarebbe l’ideale?
Sicuramente ha le qualità che cerca il Torino, perché sa attaccare la profondità e sa fare gol, penso che potrebbe sposarsi alla perfezione con il gioco di Ventura.

 

Il ricordo più bello e quello più brutto nella sua esperienza con la maglia granata?
La cosa più bella che ho visto e vissuto sono state sicuramente le 60000 persone della partita contro il Mantova. Credo che pochi giocatori del Torino hanno avuto la fortuna di giocare in una cornice di pubblico di quelle dimensioni. Questo lo porto sempre con me e con tantissimo orgoglio.
L’episodio più brutto, invece, è stato sicuramente il grave infortunio alla gamba nel pieno della mia maturità tecnica e atletica. Quell’infortunio mi ha anche precluso anche la possibilità di rimanere la stagione successiva e di entrare nel progetto di Ventura.
L’unico rammarico è quello: se non avessi patito quell’incidente, probabilmente sarei restato ancora al Toro. Rimango comunque legato alla maglia granata con dei bellissimi ricordi.

 

Che sensazioni hai provato nell’entrare in campo al “Delle Alpi” in quel Torino-Mantova?
Di vittoria! Entrando in campo avevamo già vinto, non potevamo perdere.
Queste emozioni difficilmente si potranno provare all’Olimpico. Il Toro e i suoi tifosi avrebbero bisogno di un loro stadio, che diventi la forza motrice della squadra.

 

I suoi progetti per il futuro?
Adesso sto valutando di andare a giocare all’Akragas, in Lega Pro, ma nel frattempo mi sto formando per ricoprire i ruoli societari e tecnici. Credo che sia importante acquisire competenze per non perdere la credibilità, soprattutto per i calciatori a fine carriera. Vorrei rimanere nel mondo de calcio, ma da persona qualificata e non da ciarlatano.


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