Riceviamo e pubblichiamo il ricordo di don Aldo Rabino di Beppe Gandolfo, che con il cappellano granata ha di recente scritto due libri: “Il mio Toro, la mia missione” e “Il Toro che vorrei”

 

Ciao don,

 

sento già il tuo rimbotto benevolo “non piangete per me ma pregate e continuate le mie opere”..Eppure le lacrime continuano a scendere e non riesco a fermarle. Te ne sei andato troppo presto, 76 anni sono davvero pochi. Ma alla fine hai avuto due regali: hai chiuso gli occhi nella tua Maen, l’ Oasi che avevi creato dal nulla in Valtournanche per i ragazzi. E così te ne sei andato attorniato dai tuoi giovani.

La tua è stata una vita spesa per i giovani: dai malati di lebbra del Mato Grosso agli adolescenti dell’oratorio di Borgo San Paolo, dai ragazzi del Laura Vicuna di Rivalta e Orbassano ai tuoi prediletti, quelli granata, quelli del Toro.

All’ età di 10 anni eri orfano, in colonia a Loano, e quel 4 maggio del 1949 fosti l’ultimo a veder passare l’aereo del Grande Torino, prima dello schianto di Superga. Quasi una premonizione. Il Toro sarebbe stata tutta la tua vita. Più di 40 anni di padre spirituale per tutte le squadre granata. Anche in questo noi del Toro siamo diversi: l’ unica società professionistica ad avere un padre spirituale. Un punto di riferimento per chi cresce con quella maglia addosso, per chi arriva in Prima Squadra, per i presidenti, per gli allenatori, per i dirigenti e per le migliaia di Toro Club sparsi in tutta Italia. Quanti chilometri abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni per una serata, una cena, una bevuta, un rincuorarsi a vicenda con i fratelli granata.

Al Toro siamo stati capaci di contestare tutto e tutti. Abbiamo saputo criticare i nostri beniamini in campo, in panchina, alla dirigenza. Ma non ho mai sentito levarsi un appunto nei tuoi confronti . Mai! Perché tu eri del Toro. Punto e basta. La maglia granata veniva prima di tutto e tutti. Non ti sei mai asservito a questa o quella cordata. Sempre e solo Toro.

E hai speso fino all’ultima goccia della tua vita per il Toro. Negli ultimi tempi i medici ti avevano raccomandato un po’ di riposo. Quel salire e scendere in macchina quasi ogni giorno dai 1300 metri di Maen fino a Torino pesavano sulla tua pressione. Ma c’era sempre un funerale, un rosario, un incontro con la Squadra Primavera, un ritrovo di un Toro Club a cui non potevi mancare. “Come faccio a dire di no…” mi dicevi. E’ stata questa la tua vita. Spendersi per gli altri fino all’ultimo minuto.

Il tuo Toro era quello che sul campo dava anche l’anima, si spremeva fino all’ultima goccia di sudore, che buttava il cuore oltre l’ostacolo. Perché tu eri così. “Non mi servono soldi – ripetevi sempre – datemi uomini che vivano con passione e buone idee e qualcosa realizzeremo”.

Avevi ancora tanti sogni nel cassetto. Stavamo già lavorando a un altro libro. A 40 anni dallo scudetto del 76 volevi che raccontassimo il Toro della gente. E la gente del Toro ha bisogno della sua casa, il Filadelfia. A nome di tanti tifosi del Toro ti prometto che il Filadelfia risorgerà. Perché non si sogna mai abbastanza e solo alla fine della vita si coglie il frutto delle opere buone.

 

Ciao don,

per finire voglio ricordare le tue parole.

 “Devo dire grazie al Toro a cui ho dato molto ma che anche più mi ha restituito. Così è stato e ho vissuto la mia vita. Il domani me lo auguro ancora lungo, tanto lungo, perché sono ancora molte le cose da fare e i sogni da realizzare. Soprattutto me lo auguro insieme a voi. E con la bandiera granata!”


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