“Gli eroi saranno sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Grande Torino non sia morto, ma è soltanto in trasferta”. Le parole di Indro Montanelli sgorgate all’indomani della tragedia di Superga sembrano scritte apposta per la giornata di domenica 15 maggio 1949. Sono le 17, la stessa ora, e quel giorno il Toro non c’è, è in trasferta. Al Fila ci sono undici ragazzini in lacrime proprio come tutti i ventimila spettatori, non uno di più non uno di meno. Quel giorno il calendario impone Torino-Genoa e la storia volta pagina, o almeno prova a farlo: in campo ci sono le formazioni giovanili, ma nella mente di tutti restano le piroette di Gabetto e le folate di Ossola, i guanti di Bacigalupo e le maniche del Capitano. A rompere quel silenzio pesantissimo, le parole e i singulti di Vittorio Pozzo, le lacrime celate di Ferruccio Novo, le note di Oreste Bolmida, con quella tromba che non avrebbe mai più scatenato il quarto d’ora granata. In fondo, alle spalle di via Giordano Bruno, spicca il colle: prima d’allora nessuno se n’era mai accorto, durante una partita del Grande Torino; quel giorno invece tutti gli occhi vanno alla collina, così uggiosa il 4 maggio, così assolata stavolta.

 

Già, poi si gioca. Finisce 4-0 ma poco conta. Conta che quel giorno, in fondo, anche la storia ha dovuto inchinarsi agli Invincibili: perché nessuno li ha mai dimenticati, come dimostra il rito laico e insieme quasi sacerdotale che si vive a Superga ogni anno, il 4 maggio. Perché in fondo la vera tragedia non è morire, è dimenticare.

 

 

Filadelfia, 15 maggio 1949, ore 17

TORINO – GENOA 4-0 (1-0)

RETI: 37’ pt Gianmarinaro, 11’ e 41’ st Marchetto, 35’ st Lussu (rig).

TORINO: Vandone, Motto, Mari, Macchi, Ferrari, Lussu, Giuliano, Francone, Marchetto, Giammarinaro, Balbiano.

GENOA: Turrini, Bartoletti, Bazzurro, Olivieri, Odone, Bironi, Corradini, Bellagamba, Bernardi, Brezzi, Masoni.

ARBITRO: Ballé di Venezia.

NOTE. Spettatori: 20 mila . 


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