Un’improvvisata, quella di due giorni fa, che non è passata inosservata tra i tifosi che lo hanno riconosciuto, che gli hanno stretto la mano, chiesto qualche foto e autografo. Lui, con estrema gentilezza ha cercato di accontentare tutti, perché al Toro ci tiene, ci ha sempre tenuto, e non lo nasconde di certo. C’era anche Alfred Gomis all’Olimpico alle 12.30, quando andava di scena Torino-Inter. In esclusiva per Toro.it, l’estremo difensore si racconta, parlando della sua esperienza in granata, di quella ora al Cesena dove gioca in prestito, fino ad arrivare, addirittura, a Valentino Mazzola.
Alfred Gomis, nessuno si aspettava di vederla domenica allo stadio. Come mai questa decisione?
Avevo due giorni liberi e ne ho subito approfittato, ero già nei paraggi e volevo salutare la dirigenza, il mister e alcuni ex compagni con i quali ho un buon rapporto. Non era nulla di organizzato, premeditato. Era un orario per me comodo, perché avrei avuto anche il pomeriggio a mia disposizione. E poi sono venuto perché mi ci ha portato mio papà: quando può lui viene sempre a vedere il Toro e me l’ha proposto. Ho subito accettato.
La partita però non è stata delle migliori: che impressione le ha fatto la squadra di Ventura?
La solita: cioè un collettivo che gioca un gran bel calcio. Ha avuto la sfortuna di subire gol alla prima e unica occasione dell’Inter, perché poi il Toro ha creato tanto: penso alla traversa di Benassi, o al tiro di Quagliarella e poi Belotti su cui è stato bravo Handanovic. In generale, direi brava l’Inter, perché ha saputo essere cinica e colpire al momento giusto. Ma il Toro la sua prestazione l’ha fatta, senza dubbio.
Ecco, Handanovic: secondo lei chi è il miglior portiere della Serie A? Lui o Buffon?
Come rendimento è difficile dire che sia più bravo: sono due ottimi portieri, con caratteristiche diverse, ma alla fine sono sempre decisivi ai fini del risultato. Quest’ultima frase è in verità scontata: vorrei trovare un portiere che in Serie A non sia positivamente decisivo nella difesa di un risultato.
C’è chi solleva dei dubbi su Padelli, per esempio.
Sembra fatto apposta, ma proprio domenica dopo la partita ho parlato a lungo con Daniele. Io e lui siamo rimasti molto amici, l’ho incrociato al controllo dell’antidoping e ci siamo confrontati per più di mezzora. Non entro nel merito degli errori, perché gli errori nel calcio, e in un ruolo come il nostro, ci stanno sempre. Come può uscire dal tunnel di critiche? Lui è un ottimo portiere, è in Nazionale e continua a essere convocato. Le chiacchiere le lascia agli altri, come un po’ tutti i giocatori: si fa scivolare addosso le critiche non costruttive, perché sa che l’importante è dare il massimo. E poi ha qualità, altrimenti a questi livelli non potrebbe giocare. Ripeto, l’errore nel nostro ruolo ci può sempre stare, ma l’errore passa sempre: una volta che è fatto, è fatto. Devi poi pensare al dopo, a evitare di ripeterlo. Forse adesso con il ritiro a Coverciano staccherà un po’ la spina e tornerà più carico di prima a Torino.
Dal punto di vista personale, ha mai subito critiche forti? Mai una volta paura di scendere in campo?
No in nessun caso, dico la verità. Io ho sempre cercato di fare quello che sapevo, poi chiaramente quando sbaglio mi arrabbio, ma evito di leggere molto i giornali o sentire le voci in giro. Se no si rischia di fare molta fatica: un conto è quel che accade in campo, e lo sa solo chi gioca, un conto è quel che si dice fuori. Io poi penso di avere un pregio, che so anche essere insieme un difetto: vivo le partite con estrema tranquillità. Io voglio arrivare a giocare ai massimi livelli, non posso pensare di essere teso per una partita, importante sia chiaro, di Serie B. A volte quando sbaglio quasi non me ne accorgo, lo capisco dopo, e mi arrabbio appunto moltissimo.
Tornando alla sua esperienza al Toro, oltre a Padelli c’è qualche ex compagno di reparto che l’ha aiutata in particolare?
Le prime volte in cui mi sono trovato regolarmente in prima squadra sono state durante i ritiri con Lerda in estate e Beretta in inverno. Ma sicuramente devo dire che sia io, sia Lys, abbiamo legato molto con Gillet: ci ha sempre dato tanti consigli. Poi mi ricordo un portiere di quando ero piccolo, cioè Sereni. Le volte che andavo in prima squadra vedevo come comandava la difesa, come sapeva gestire il reparto. Quella è una cosa che ho proprio cercato di fare mia. Ci sono poi due preparatori che ricordo sempre volentieri. Uno è Zinetti, ancora in prima squadra, che mi ha fatto lavorare tanto con i piedi. Spesso aiutato da Gillet, dava a me e Lys dei consigli su come ragionare, su come impostare l’azione. Devo dire che quegli insegnamenti mi sono utilissimi ancora adesso: con Drago lavoriamo molto noi portieri palla al piede. E poi tengo a ricordare Di Sarno, il mio preparatore alle giovanili. Con lui il rapporto è andato oltre il lavoro, siamo molto amici, ci sentiamo spesso. Grazie a lui sono cresciuto sotto diversi punti di vista.
Ha citato Zinetti, che fa parte dello staff di Ventura. Con l’allenatore che rapporto aveva?
Premetto che io lavoravo soprattutto, anche in ritiro, con il preparatore. Ma del mister ho notato questa cosa che mi ha colpito molto: vuole sempre che si dia il 100%, è sempre deciso e determinato. Ci sono dei momenti nel lavoro con lui in cui si può essere rilassati, ma degli altri in cui si deve spingere al massimo, oltre i propri limiti. Non è il concetto del quarto d’ora granata di Mazzola, che si rimboccava le maniche e caricava, è un altro discorso: è proprio alla base del nostro lavoro. È quanto per lo meno ho percepito io, perché a volte il mister mi trovava magari distratto. C’è poi un’altra cosa che con lui conta molto: saper pensare alla cosa giusta da fare al momento giusto, cioè applicarsi secondo quanto si è studiato. Non c’è bisogno di strafare, ma di fare bene le cose che sono richieste.
Passiamo al Cesena: l’esperienza è per ora gratificante.
Senza dubbio, sto benissimo perché c’è un gruppo eccezionale. In Serie B o sei il Palermo di due anni fa, o il Cagliari di adesso (ma spero che prima o poi abbia una flessione!) dove la qualità è davvero superiore, o hai bisogno di un gruppo davvero molto solido. Noi lo siamo, e lo dico senza alcuna esaltazione: usciamo spesso insieme, e in gran numero. Ed è forse il primo anno in cui, da giocatore in prestito, mi sento davvero parte del progetto. Merito di Drago, senza dubbio, che già a Crotone mi fece sentire così: ma lì era più facile, eravamo quasi tutti a titolo temporaneo. Qui invece c’è molta varietà, ma ci sentiamo tutti protesi verso il nostro obiettivo. Ed è davvero molto bello.
L’obiettivo è la A, questa volta però per restarci. Magari con la maglia granata?
Io sono a disposizione, dovrà decidere il direttore sportivo, l’allenatore e chi per loro. Per adesso sono qui a Cesena, e stiamo facendo un buon campionato. Anzi, avremmo potuto fare anche di più: vediamo dove arriveremo alla fine. Poi, per la prossima stagione, ci penseremo più avanti.
Lys, Alfred e ora Maurice Gomis. Una generazione di portieri che parte dal Toro. Potrà mai tornare tutta intera all’ovile?
Per ora è utopia, ma se mai dovesse succedere sarebbe davvero uno spettacolo. Penso per esempio a qualche stagione fa, quando Lys era secondo e io il terzo: era bellissimo giocare fianco a fianco. È chiaro, la rivalità non manca mai, perché tutti vogliamo giocare, ma cambia il modo di vivere nello spogliatoio. Alla fine, se scende in campo mio fratello, è come se fossi un po’ anche io. E la gioia per l’intervento giusto o per la doppia parata sarebbe doppia. Ripeto, ora è un’utopia. In futuro, chissà…