Era una giornata di sole, quasi calda e finta, nel suo anticipo di primavera. Sono arrivato presto, per gustarmi il piacere di passeggiare davanti allo stadio, nell’attesa di entrare. Ho visto i bambini giocare a pallone a piazza d’Armi, con le magliette di Immobile e di Belotti, ma anche con quella di Cerci. Erano tanti, con mamme dal volto disteso ad osservarli da lontano e padri a sorseggiare una birra al chioschetto. Li ho visti terminare la loro partita ed avviarsi verso la Maratona e ho immaginato che avrebbero proseguito lì dentro, con gli altri, al di là delle recinzioni. E, intanto, altri bimbi li sostituivano sul prato, aiutati dai papà a fare le porte con i giacconi, o con i giovani tronchi degli alberi del 2006. C’era gente stesa al sole in divisa granata, fidanzati a passeggio mano nella mano con i nostri colori, come per lo struscio nelle vie del centro.
L’aria ammorbata dalle puzze stantie dei camioncini alla piastra faceva ruvido contrasto con i picnic a pane e salame di intere famiglie, appoggiate nell’erba nuova su teli granata. Ho visto gente con l’abito buono, perché era domenica pomeriggio, proprio come una volta, ma anche perché andare a vedere il Toro per alcuni è sempre motivo di festa. C’era gente che non credeva di trovarsi lì, che non c’era mai stata, che non ci tornava da troppo tempo. Chi si ritrovava dopo anni, chi non sapeva di condividere le medesime passioni. Davanti alla tribuna molti più del solito aspettavano l’arrivo della squadra, pronti all’applauso facile, che avevo dimenticato. Ho percepito l’attesa, ho letto su quei visi la speranza di ricominciare e la sicurezza di aver fatto una ottima scelta.

 

Tutto questo per Toro-Carpi, ci vuole davvero tanto a far sì che sia così tutti i giorni? Ho pensato che forse era solo un’operazione di facciata, una trovata di marketing, un modo come un altro per distogliere l’attenzione dai problemi veri. Non so, forse. Ma quello che ho visto mi ha fatto bene al cuore.

 

Poi sono entrato ed ho trovato lo stadio pieno di colore. All’ingresso dei calciatori migliaia di sciarpe sventolavano al cielo da ogni settore. I nostri hanno appena alzato gli occhi e mi è dispiaciuto. Non credo che ci fossero abituati, non ci si abitua mai abbastanza al calore della propria gente, alle dimostrazioni di stima e di affetto. Hanno guardato di più i carpigiani, che mi sono parsi confusi, per un attimo quasi smarriti. Poi è cominciata la partita e per un quarto d’ora abbiamo giocato davvero bene. Ho visto Bruno crossare e Belotti incornare, ma anche il loro portiere distendersi e salvare la rete. Poi tutto si è appiattito. Pian piano il sole è uscito dal catino e il granata si è come stinto. Gli altri hanno preso fiducia ed hanno cominciato ad arrivare prima sulla palla. È stato allora che ho notato Moretti ansimare e Glik affannarsi inutilmente. Baselli pareva triste e Gastone bivaccava sulla fascia. Poi ho visto Maxi sbagliare un rigore e spegnersi definitivamente la luce.

 

All’uscita, in strada, ho ascoltato commenti di ogni genere ed uno in particolare mi ha fatto male. Due ragazzi stavano discutendo sulla malasorte e sulla pochezza del gioco espresso, quando un adulto, che poteva essere il padre, li ha apostrofati dicendo: “per cinque euro che cosa vi aspettavate?” Non so che cosa mi aspettassi da Toro-Carpi, né che cosa si attendessero quei ragazzi, ma so che è banale pensare che sia una questione di soldi. Fosse stato anche solo per un euro, o per cinquanta centesimi, quando si viaggia con la maglia dei nostri si onora l’impegno in modo diverso. Mi sarebbe bastato vederli giocare come i bambini in piazza d’Armi, fino alla fine con quello spirito, quell’entusiasmo e quel piacere. Con l’orgoglio di indossare una divisa che è parte di me. Domenica molte famiglie si sono riavvicinate al Toro, non vorrei che alla sera per tante di loro il capitolo si fosse già chiuso di nuovo. Questa, sì, sarebbe un’operazione di marketing. Alla rovescia.

 


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