Lei ha giocato anche nel Bologna, prossimo avversario granata. Che partita sarà quella di sabato?
E’ una partita poco importante per entrambe le squadre, se non per lasciare spazio a qualche giovane. Io sono stato bene anche a Bologna, dopo essere stato mandato via dal Torino, quindi mi auguro un pareggio.
Ha il rammarico per essere passato al Bologna nella stagione dello Scudetto del Torino?
Tanto rammarico. Io sono stato costretto a lasciare il Torino, perché la società aveva deciso che non rientravo più nei piani. Né Pianelli, né Radice mi hanno avvertito: l’ho saputo da un sotto-segretario. Il Torino non mi ha trattato bene, non mi hanno invitato nemmeno alla festa Scudetto. Sono andato via mal volentieri perché mi era stato garantito un altro trattamento.
Dovessi pensare solo a quella estate non dovrei nemmeno più essere tifoso del Torino. Ormai è acqua passata. Tra l’altro, con il Bologna battemmo il Torino alla prima giornata del campionato che poi portò allo Scudetto granata, con il gol di Bertuzzo, un altro ex della partita.
Cosa voleva dire giocare al Toro negli anni ‘60/’70?
Voleva dire che per qualsiasi obiettivo si giocasse, si doveva sempre tirare fuori il meglio da se stessi. Non serviva solo il gioco, ma lo spirito, la convinzione e la capacità di reagire a tutte le difficoltà. Non si piangeva sul latte versato, ma si cercava di costruire qualcosa con grande volontà e carattere. Lamentarsi e non reagire non serve a nulla.
Che differenze ci sono tra le due piazze?
Il calcio vissuto a Bologna è allegro e tranquillo, a Torino si è sempre sotto pressione. Torino ti sprona di più alla vittoria, Bologna di meno. In Emilia non si vive solo di calcio. Noi ex granata che abbiamo vissuto a Bologna ci siamo trovati molto bene.
Cosa manca al Toro attuale per fare il salto di qualità?
Mancano un po’ di convinzione e un paio di giocatori che possano fare la differenza. Ma credo che il salto di qualità non lo si voglia fare, perché c’è bisogno di troppi soldi e investimenti. E’ veramente difficile nel calcio attuale aspettarsi traguardi importanti.
E’ giusto continuare con Ventura in panchina?
Io sono amico di Ventura. Ma penso che sia giusto cambiare a fine stagione: le aspettative sono tante e dopo un po’ di anni è giusto separarsi per il bene di entrambe le parti. Si tratta solo di capire chi avrà il coraggio di fare il primo passo verso questo tipo di decisione.
Lei è rappresentante dell’associazione “ex giocatori granata”. E’ contento della rinascita del Filadelfia?
Non si può che essere felici, anche se il Fila di una volta non rinascerà mai. L’importante è riscostruire almeno l’area dal Filadelfia. Non era solo un campo, era lo spirito, il senso, ciò che si respirava che lo rendeva uno stadio speciale. Anche i rapporti tra giocatori, allenatori e giovani era speciale: entravi ragazzo, diventavi uomo e giocatore. Io spero che la ricostruzione del Filadelfia aiuti a fare questa opera su giovani, anche se sarà difficile perché nel frattempo è cambiato il calcio. A noi raccontavano e spiegavano tante cose che ormai non si possono più raccontare. Ora dopo qualche mese anche i giovani cambiano squadra, manca il rapporto continuativo con la maglia granata che avevamo noi. Speriamo che il Torino riesca nell’impresa di ricreare un settore giovanile simile a quello che c’era all’epoca. Sarebbe molto utile per la società e molto bello per i tifosi.
Come giudica l’operato di Moreno Longo nella Primavera?
Penso che Longo abbia fatto un lavoro straordinario: è difficile ottenere i risultati cambiando venti giocatori ogni stagione. Si vede che Longo è un ragazzo del Fila: ha lo spirito granata e cerca di trasmetterlo ai suoi giocatori nei limiti del possibile. Oggi già a quindici anni i ragazzi hanno il procuratore ed è difficile inculcare dei sentimenti in un calcio comandato dai soldi e dalle sponsorizzazioni.
E’ giusta la gestione dei giovani, da parte del Torino?
A mio parere dovrebbero essere inseriti più giovani in prima squadra. In questi dieci anni di presidenza Cairo non abbiamo praticamente mai visto ragazzi del settore giovanile rimanere in prima squadra in pianta stabile. E’ vero che si matura anche tanto andando via in prestito e poi tornando alla base, ma noi siamo l’esempio che si può anche crescere nel settore giovanile e passare alla prima squadra: siamo entrati al Filadelfia a quindici anni e abbiamo poi fatto vent’anni in prima squadra.
Però quella che sta adottando il Torino adesso è una strategia societaria ed è giusto rispettarla.