Le facce non sembravano quelle da ultimo giorno di scuola: lo stadio con il nome nuovo, le maglie celebrative indossate nel corso del riscaldamento, un’atmosfera sugli spalti che trasmetteva il giusto mix di euforia e serenità. Le facce sembravano quelle di chi, dopo aver perso un’incredibile partita pochi giorni prima, ha voglia di rivalsa e sente la responsabilità, quella di vestire il colore granata nella prima allo Stadio Olimpico Grande Torino. L’illusione dura poco più di un tempo: perché alla prima vera difficoltà i limiti di una squadra che ormai ha poco da chiedere a questo campionato vengono alla luce, uno ad uno. Ed è allora che il Toro si trova ad un bivio: aspettare il suono della campanella per i classici gavettoni di fine anno o rimanere concentrato fino all’ultimo?
La squadra di Ventura sceglie la prima strada ma trova fischi e non gavettoni, perdendo così la grande occasione di onorare al meglio una giornata storica per la città e per i colori granata. Tra le mani la possibilità di chiudere questo campionato firmando una piccola impresa, il primo successo nello stadio dedicato agli Invincibili, o almeno portando a casa una prestazione in linea con quelli che da sempre sono stati riconosciuti come valori che il Toro rappresenta. Grinta, umiltà, senso di appartenenza ma anche orgoglio: e cosa c’è di meglio della possibilità di giocare una gara inaugurale come quella di ieri? Cosa può rendere più orgogliosi che entrare nella storia di un club? Forse non tutti i granata ieri in campo, specialmente gli ultimi arrivati, sono ancora riusciti a cogliere il legame del Toro con la sua storia e di conseguenza l’importanza di una giornata come quella di ieri. Non ancora. O forse sarebbe servito ‘prepararli’ ad un appuntamento così di rilievo per evitare loro qualche scivolone.
È la domenica delle occasioni mancate: il Toro ‘stecca’ la prima, non riesce a dare un calcio definitivo ad un periodo di crisi che sembrava ormai superato e nemmeno ad andare incontro ai tifosi che sembrava pian piano aver ritrovato. Il passo indietro si traduce in una prestazione che (almeno nel finale) delude soprattutto Ventura: emblematica la scelta del tecnico di seguire l’ultimo quarto d’ora seduto in panchina. Una resa anticipata che al cospetto degli Invincibili stona un po’.