Quando muore una leggeneda dello sport come Muhammad Ali, tutti hanno il dovere di fermarsi per un secondo, anche se non si è esperti di boxe. La figura di Ali andava oltre la sua disciplina, nato come Cassius Clay jr si convertì all’Islam nel ’64 e cambiò il suo nome con quello che è poi di diritto entrato nell’Olimpo sportivo.
Morto a 74 anni nella notte per una grave crisi respiratorie accusa negli ultimi giorni che lo aveva costretto al ricovero da giovedì. Le sue condizioni si sono aggravate soprattutto per colpa del morbo di Parkison, malattia con cui lottava da oltre trentanni. Una delle poche battaglie perse da un pugile che porta con se il record di 61 incontri, 56 vittorie (di cui 40 per KO) e sole 5 sconfitte.
Nominato cinque volte “pugile dell’anno” tra il ’64 e il ’78, oltre ad un oro olimpico a Roma nel 1960 riscì a conquistare e difendere il più importante riconoscimento mondiale dei pesi massimi tra il 1964-1967, poi ancora dal 1974-1978 ed infine una ultima volta nuovamente nel ’78. I suoi incontri con Joe Frazier e George Foreman sono entrati di diritto tra gli spettacoli sportivi più indimenticabili della storia.
I funerali si terranno a Louisville (Kentucky) dove era nato nel 1942.