Sanjin Prcic, alla fine il riscatto non è arrivato. Deluso?
Dico la verità: speravo di restare in Italia. Mi è piaciuta molto la mentalità delle persone che ho incontrato durante tutto quest’anno. Il Toro, purtroppo, non ha trovato l’accordo con il Rennes, squadra dove ora rientro. Se ci fossero delle opportunità, però, tornerei senza dubbio. Per lo meno in Italia. Qualche contatto c’è già stato: vedremo bene il da farsi. Io, dal canto mio, ho bisogno di giocare, per cui valuterò molto bene il progetto che mi verrà prospettato: devo trovare una squadra che mi dia spazio come a Perugia, solo così potrò mettermi alla prova e migliorare.

 

Ecco, il Perugia: la sua seconda parte dell’anno è stata soddisfacente?
Mi sono trovato molto bene, sì. Ho avuto il piacere e l’opportunità di giocare con regolarità, fare dei gol anche pesanti. Avevo trovato un buon ritmo, e sono stato accolto molto bene. Ho un ottimo ricordo di Perugia.

 

E del Toro?
Anche. Senza dubbio. È stata una bella esperienza, per me importantissima. Era la prima volta che giocavo all’estero: ho avuto un’accoglienza super. Dai compagni, come dai tifosi. Ho anche avuto la possibilità di conoscere un nuovo paese e un nuovo calcio, che mi è piaciuto molto. Il lato positivo della mia avventura in granata è sicuramente extrasportivo. Da quello sportivo, posso dire di aver imparato cose nuove, anche sul piano umano. Ma purtroppo non ho avuto abbastanza spazio.

 

Si è chiesto il perché di questo?
Sicuramente io potevo fare qualcosa di più. Ma alla fine decideva l’allenatore, e non ho mai avuto la possibilità di far vedere quello che sapevo fare. Non mi è stata data l’opportunità di far vedere quello di cui ero capace: di questo mi dispiaccio ancora adesso. Però, per il resto, davvero non posso che essere contento per questa esperienza, ripeto: anche i tifosi mi sono stati molto vicini, da subito. Ne sono rimasto impressionato.

 

Parlava, prima, del fatto di essere riuscito ad apprendere un nuovo tipo di calcio. Ma è così diverso da quello francese, quello italiano?
Sì, soprattutto a livello tattico. In Italia si cura moltissimo questo aspetto. Anzi, forse è proprio quello fondamentale. In Francia, invece, il calcio è più fisico, ma meno impostato. Quest’anno, per me, è stato davvero utile per capire come si lavori qui. E quante cose si possono imparare.

 

Torniamo al Toro, ha in particolare legato con un compagno di squadra, durante il suo semestre in granata?
All’inizio è stato difficile avere dei rapporti con chiunque: il problema linguistico pesava parecchio. Ma dal giocatore più anziano a quello più giovane, si vedeva che si cercava di fare gruppo, e mi hanno aiutato a inserirmi. Se però devo ricordare qualcuno in particolare, dico Maksimovic: all’inizio, anche per il fatto che parlasse serbo, sono subito riuscito a legare con lui.

 

Avete per caso avuto modo di parlare del suo futuro?
No, dico la verità. Non so se resterà, ma so che Mihajlovic lo conosce molto bene, lo ha selezionato quando era alla guida della Nazionale serba. Potrebbe effettivamente avere una possibilità di restare.

 

Un suo altro vecchio compagno, Parigini, è tornato a Torino, per restare. Scelta giusta da parte della società?
Sì, ne sono convinto. Penso sia un ottimo attaccante, è giovane, e ha tutte le capacità per fare bene in granata. Gli auguro un’annata e una carriera super, se la merita.

 

Se ci fosse la possibilità, tornerebbe a Torino anche solo da spettatore?
Senza dubbio, sì. Voglio venire a vedere almeno una partita, nel caso dovessi restare in Italia. Mi sono trovato molto bene, e devo ringraziare la dirigenza che mi ha dato la possibilità, seppur breve, di poter far parte di questo club. Sarà impossibile, per me, dimenticare questo ambiente. Grazie di tutto, Toro.

 

 


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