Il caso Vanoli è l’ultima situazione lose-lose nel Torino di Urbano Cairo: cosa dovrebbero sperare, i tifosi?
Per definizione, tifare è prendere posizione. È parteggiare, schierarsi, scegliere un punto di vista e difenderlo. È sperare e soffrire, ma in comunità. È un confronto costante, in cui le idee in competizione spingono in una direzione sola: cercare di ottenere il – e sperare nel – meglio per la propria parte. Ma qual è, adesso, il bene del Toro, della nostra parte? In cosa, il tifo granata dovrebbe sperare? Questo pezzo potrebbe finire, a questo punto, mettendo in pagina il coro più cantato dell’anno (e la tentazione di chi scrive è forte). Ma quelle due domande retoriche sottintendono qualcosa di più profondo, che è poi una riflessione su di noi, su quella comunità che a Torino e in giro per il mondo si deprime o rallegra in base a cosa accade a chi indossa la maglia granata. La faccio breve: scegliere da che parte stare, quando si parla del Torino di Urbano Cairo, ormai è un gioco a perdere. È una perenne situazione lose-lose. Qualunque sia il risultato, alla fine, tutte le parti in gioco perderanno qualcosa, soprattutto i tifosi.
Cosa pensare del caso Vanoli-Cairo?
Un esempio, il più recente. Un tifoso del Toro, considerati gli ultimi – grotteschi – sviluppi, cosa dovrebbe pensare del caso Paolo Vanoli? Sappiamo che ci sarà un altro incontro tra l’allenatore e il presidente per decidere, una volta per tutte, il futuro. E Vanoli a sorpresa potrebbe pure restare, soprattutto se il presidente non dovesse chiudere per un sostituto – Baroni, ad esempio.
Per chi osserva e non ha potere decisionale, capire cosa sia meglio per il Toro non è chiaro. Se restasse, Vanoli sarebbe inevitabilmente depotenziato, e alla prima difficoltà sarebbe – di nuovo – il perfetto capro espiatorio. Ma l’allenatore, che già pubblicamente criticò la cessione di Bellanova in agosto, si è pian piano conquistato l’affetto di molti: potrebbe anche rappresentare una figura di garanzia per la piazza, se alla fine venisse confermato contro ogni pronostico.
E se invece arrivasse qualcun altro? Allora, il ciclo ricomincerebbe nuovo e sempre uguale. La speranza in un nuovo progetto, le cessioni eccellenti, gli acquisti più o meno funzionali, o creativamente fallimentari, le ciliegine, e via discorrendo. Poi arriverebbero le difficoltà nei risultati, la contestazione si intensificherebbe, e si finirebbe nuovamente lì, tra il nono e l’undicesimo posto – o peggio, si rischierebbe la Serie B, come appena quattro e cinque anni fa, due stagioni troppo spesso dimenticate da chi esalta l’aurea mediocritas del Toro.
Il Toro di Cairo e la “profezia dell’armadillo”
Eccola qui, quella sensazione di doppia sconfitta: dovunque si guardi, non c’è salvezza. Ogni speranza, nel Toro del ventennio, è la profezia dell’armadillo di Zerocalcare, ovvero una “previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti”. Già, perché guardandolo razionalmente, il destino del Toro di Cairo non cambia mai per davvero. E i tifosi – noi tifosi – restiamo impantanati.
Gli esempi di simili rompicapi, dibattiti senza uscita, sono molteplici. Andare allo stadio, supportando la squadra a prescindere da tutto, o disertarlo in segno di protesta? In ogni caso, non ci si guadagna: chi va, generalmente, ne esce con amarezza, chi non va si è sentito accusare, in tempi recenti, di non avere abbastanza amore per il club. Sperare di diventare la nuova Atalanta, o il Bologna del 2026? Risponde Cairo, in questo caso, con il più classico degli understatement presidenziali: sì, ma guardate cosa è successo alla Sampdoria o al Palermo, invece.
Che bello sarebbe, veder sbarcare al “Grande Torino” un giocatore divertente e decisivo, o – anche meglio – ammirare la crescita di un talento dal settore giovanile, uno potrebbe pensare. Salvo poi ricordarsi di Buongiorno e i suoi fratelli, gli “inevitabilmente cedibili” che oggi sono Ricci e Milinkovic-Savic.
Il Toro e i tifosi “allenati” solo alla disillusione
Checché ne dica il presidente Cairo (seppur ricorrendo a una metafora infelice), a me il problema sembra proprio che nessuno dentro la società Torino – negli ultimi vent’anni e con rarissime eccezioni – abbia davvero allenato i tifosi. O meglio, nessuno ci ha allenati ad altro se non alla disillusione. E se oggi ogni scelta ci sembra sbagliata, ogni possibilità una sconfitta in partenza, è perché in vent’anni abbiamo perso la speranza che per il Toro, alla fine, possa andare bene.
Persino quando si sperava in un cambio al vertice del club come via per la rinascita, ci hanno allenato a pensare, in risposta, “eh, ma il problema è chi compra”. Ecco, almeno questo rompicapo, dopo questa stagione, sembra essersi definitivamente risolto. Dalla marcia dei ventimila alle strade del Giro, una risposta, i tifosi del Toro, sembrano averla trovata.
