Una volta è il Toro, una volta no. Una volta è la squadra che gioca e diverte, un’altra quella che stenta e delude. Una volta gioca da Toro, l’altra non scende quasi in campo. La domanda nasce spontanea: perché? Non può essere (solo) colpa delle assenze, perché il black-out di Verona con il Chievo (che in parte ricorda quello di ieri) certifica che anche al completo questa squadra perde di lucidità e soccombe.
Il Torino che ieri è entrato a suo modo nella storia del Carpi (prima vittoria in Serie A della sua storia) ha inspiegabilmente buttato alle ortiche una grande possibilità. Non solo quella di volare in testa alla classifica, almeno per una notte. Non solo quella di dimostrare che a Verona contro il Chievo si è trattato di un incidente di percorso. Ma anche – e soprattutto – di prendere e portare via tre punti nell’economia di una rincorsa all’Europa o semplicemente di una salvezza tranquilla. La speranza è quella di non dover rimpiangere fra qualche mese i punti lasciati al Braglia: intanto, però, il Toro fa i conti con un’altalena di risultati che non permette ai granata di confermarsi da una partita all’altra.
Faceva bene Glik una settimana fa a ricordare, quasi a voler rispondere alle critiche dopo il ko contro il Chievo, che in un campionato così lungo capiterà più volte di perdere. Quello che però è difficile da decifrare, risultato a parte, è principalmente la prova del Toro: senza grinta né cattiveria, ad eccezione di qualche folata di Maxi Lopez, come se la posta in palio fosse nulla. E invece sarebbe bastato alzare lo sguardo verso gli spalti per capire il motivo principale che avrebbe dovuto spingere la squadra a dare il massimo, al di là di primati in classifica da raggiungere: la muraglia granata che ha riempito il settore ospiti e incitato la squadra fino alla fine. Loro avrebbero meritato di vedere quel Toro che gioca da Toro, non la sua brutta copia.
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