Che il Toro abbia avuto momenti migliori di questo è evidente: non è solo per la “pacca” sulla panchina del Napoli che consegna a televisioni e stadio un Ventura particolarmente agitato e nervoso (reazione dovuta, come poi chiarito, ad un lancio sbagliato di Bovo, solo l’ultimo di una serie di mezzi disastri combinati dal sostituto di Maksimovic) ma anche per la proiezione in campo dell’allenatore stesso, che poi sarebbe la squadra.

Il nervosismo evidente fuori dal rettangolo verde, in campo si traduce in una prova in cui è evidente la mancanza di carattere, dote che invece aveva caratterizzato il primo mese e mezzo. C’era un Toro, tra agosto e settembre, che puntualmente andava sotto e puntualmente sfoderava una grinta ed un carattere tali da permettere di costruire rimonte quasi insperate. Pescara o Fiorentina, poco importa: una volta partita la riscossa l’unico rimedio per non soccombere era arrendersi ai granata.

È quella squadra a dover essere il termine di paragone: gli interpreti sono praticamente gli stessi di oggi, eppure nel complesso qualcosa si è rotto e la fiducia è venuta meno. Non è più un gruppo che sa di poter riuscire a rimontare da un momento all’altro ma che al contrario teme di prenderle sapendo che difficilmente, poi, riuscirà a risollevarsi.
Il risultato è un approccio timido come quello di ieri, quando due parate di Padelli mantengono a galla il Toro prima che Insigne spezzi l’equilibrio. Non serve nemmeno che il Napoli abbassi il ritmo nella ripresa per fare emergere i granata: la verve di Maxi Lopez (che avrà anche qualche chilo in più ma sembra essere l’unico in grado di far cambiare passo a questa squadra) non è sufficiente e il Toro rimane incompiuto, ancora una volta. E la squadra di Ventura non può nemmeno rammaricarsi: per farlo avrebbe dovuto almeno dare l’impressione di credere di poter fare risultato al San Paolo. 

 

 

 


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