Alen Stevanovic, dopo tanta Italia è arrivato il Partizan Belgrado. Scelta che ha pagato?
Qui mi trovo molto bene. Anzi, devo ringraziare molto il club che mi ha chiamato in un momento per me difficile, dandomi la possibilità di giocare anche in Europa. Sono concentrato a dare il massimo per una delle squadre più gloriose della Serbia, cosa che per altro mi ha permesso di tornare a casa e vivere con mia moglie e la mia bambina, che sta per iniziare la scuola.
Addio al Toro, ma arrivederci all’Italia?
Chissà cosa accadrà. Sono stato 7 anni in Italia, ho avuto moltissimo in cambio. Sono state stagioni davvero belle, che ricordo con un po’ di nostalgia. Ma alla fine l’ho lasciata a 24 anni, non si sa mai. Dipenderà anche molto da come giocherò io, da quel che accadrà. Ma per ora, ripeto, sono solo concentrato a fare bene al Partizan, che arrivò così, di colpo.
In effetti la convocazione da parte del Toro per il ritiro di luglio, lasciava presagire che, magari, un futuro a tinte granata potesse ancora esserci.
Sì, non si poteva dire per certo se alla fine mi sarei trasferito o no. Mi allenavo molto, ho svolto anche un buon ritiro e giocato praticamente tutte le gare. Anzi, devo ringraziare la società granata, perché nonostante gli ultimi due anni passati in prestito ha comunque voluto darmi questa possibilità di farmi trovare pronto in ogni caso. Sono stati tutti molto disponibili, dal mister ai compagni. Proprio tutti.
La sua carriera in granata è stata un andirivieni di emozioni: dall’annata di Lerda, alla promozione da protagonista, alla Serie A, per poi una serie di passaggi in prestito. Che ricordo si porta del Toro?
Bellissimo. Probabilmente, senza nulla togliere alle altre piazze (alle quali davvero sono legato: dall’Inter del triplete, al Palermo dove è nata mia figlia, fino anche Spezia e Bari), è stata l’esperienza più intensa della mia vita. Ho segnato il primo gol da professionista, ho legato molto con i miei compagni, con i tifosi stessi. Mi considero io stesso un tifoso granata. La dirigenza ha creduto tanto in me, soprattutto Ventura, che mi diceva che lavorando duro in qualche anno avrei potuto pure valere venti milioni di euro. Ma ero molto giovane, e non avevo la testa. Lo dico chiaramente: non avevo i piedi ancorati a terra. Probabilmente, avessi incontrato prima mia moglie e fossi diventato prima padre, sarebbe finita in un’altra maniera. Sarei stato più maturo, e avrei potuto dare di più. Mi resi conto che la mia storia con il Toro stava per finire quando iniziai il giro dei prestiti. Si inizia a capire che c’è qualcosa che non va, con il rischio di non tirare fuori tutto il proprio potenziale. Ma resta il ricordo, la gioia di aver contribuito a portare il Toro in A, dove merita. E poi sento tanti ex compagni.
Come Glik o Maksimovic? Con il suo connazionale eravate anche compagni di stanza in ritiro.
Loro, e anche altri. Questo inverno ho passato le vacanze in montagna proprio con Nikola. Se abbiamo parlato di mercato? Lo facevamo molto in estate, perché non c’era giorno in cui non riceveva una telefonata. Impazziva lui… e impazzivo pure io! L’unico consiglio che mi permettevo di dargli era quello di ragionare con calma. Di non farsi prendere dall’ansia.
E a proposito di mercato, in squadra con lei gioca un obiettivo dei granata: Sasa Lukic. Che tipo di giocatore è?
Forte, potenzialmente davvero molto forte. Ha gamba, tiro, è giovanissimo. In Nazionale è già stato impiegato, nonostante sia un ’96, e ha pure esperienza in Europa. Non so se andrà via da qui, o se andrà al Toro. Ma se mi dovesse chiedere un consiglio, saprei benissimo cosa dirgli.
Può dirlo anche a noi?
Certo: un giocatore come lui, che tra l’altro segna abbastanza frequentemente, può fare grandi cose. E Torino sarebbe la piazza migliore per decollare: ci sono tifosi caldissimi, una città stupenda. E poi c’è Ventura.
L’allenatore granata può essere l’arma in più in caso di trattativa? Perché?
Parlo per esperienza personale: a me non ha dato tanto. Ha dato praticamente tutto. Ho imparato delle cose che per la mia carriera sono state fondamentali, che mi porterò sempre dietro e mi saranno sempre utili. Non scherzo, Ventura è per me come Mourinho, che quando ero giovanissimo decise di puntare su di me, chiamandomi in quell’Inter stellare. Con Ventura ho cominciato a giocare titolare in una squadra forte, apprendendo la sua visione del calcio che può davvero essere esportata. Lukic, dovesse cambiare casacca, avrebbe molto da imparare venendo a Torino.
Quali sono le sue caratteristiche tecniche? C’è chi lo vede più come un valido playmaker.
A mio avviso è un’ottima mezzala: può giocare a destra e a sinistra, ai fianchi di un regista nel 3-5-2. Può imparare anche il ruolo di centrale, anche perché è molto duttile.
Stevanovic, sarà possibile rivederla a Torino?
Già lo è, perché come vi dicevo a questa città sono rimasto davvero molto legato: qui mi sono anche sposato. È quella che visito più spesso, e non a caso il Toro resta la squadra che seguo più spesso. Dispiace per come è finita, ma tutte le emozioni vissute non andranno mai via. Sono un bagaglio prezioso. Stupendamente prezioso.