Sarà perché non sono ancora abituato, ma quello che in Inghilterra succede ormai da anni e sta accadendo in queste settimane da noi sulla piazza di Milano, mi sconquassa per non dire spaventa.
Internazionale e Milan, due fra le società più antiche e ricche di storia del nostro paese stanno passando nelle mani di imprenditori stranieri.
Un conto è sentirne parlare, leggerne, a proposito di club di altre nazioni, altro conto è arrivare a toccare con mano che il fenomeno sta investendo anche noi e non certo in modo marginale.
Inter e Milan che, fra poco, parleranno qualche lingua orientale!
Nel mondo globalizzato dove tutto è di tutti e niente è di qualcuno, succede anche questo e sembra che ci si debba abituare, ma se è vero che per imprese o marchi commerciali la cosa scuote meno, per le squadre di football, almeno per me, emoziona e agita assai di più.
Questo perché, in effetti e al di là di retorica, un club calcistico è veramente qualcosa di più di una normale impresa, specie poi se vanta una storia antica, secolare come ormai vale per molti di quelli italiani.
Passare in questo ragionamento al Toro è automatico.
Quest’anno taglia il traguardo dei 110 anni, un secolo e i primi 10 del secondo. E se solo ci fosse stato un qualche straccio di documento ufficiale non solo ben più numerose avrebbero potuto essere le candeline sulla torta, ma anche si parlerebbe di prima compagine calcistica sorta nel nostro paese, con buona pace del Genoa.
Or bene, immaginare il presidente Cairo in trattative con qualche imperatore arabo o cinese, a dirla tutta, mi agita.
Mi vedo passare in un lampo l’antica storia, fatta di tanti uomini, di sofferenze e gioie, di clamorose vittorie e impietose sconfitte.
La vedo svilupparsi lungo un nastro immaginario il cui sottofondo vocale è però riconoscibile, si parla italiano se non addirittura in dialetto, se lo svolgiamo nella parte che si occupa dei pionieri, dei padri del Club, di quelli che lo hanno pensato e fondato, reso concreto. La vedo, questa storia incredibile, arrestarsi a fronte degli inciampi più ardui, ma sempre riprendere e ripartire con rinnovata speranza. La vedo esaltarsi per i momenti belli e appiattirsi, ma mai rinnegarsi, in quelli più difficili
Una storia che, comunque e sempre, è palpitante, viva, tribolata che sia oppure no. Una storia che sento anche mia, che appartiene a tutta la tifoseria e nella quale ci si riconosce; una storia che abbiamo imparato ad amare, a seguire, a studiare, a diffondere con quella passione e quell’amore che soltanto le truppe dei tifosi sanno sprigionare quando c’è di mezzo la squadra che amano.
Come potrebbe un qualche emiro o ricco cinese farla propria, come potrebbe amarla, come potrebbe dare al Club quel qualcosa in più oltre ai quattrini, ovvero alimentarne l’anima?
Forse mi sbaglio, visto che esperimenti già accaduti non hanno certo affossato, anzi, i club che hanno avuto questa sorte, tuttavia sento come un timore forte, che scaturisce, ovvio, da un dilemma: meglio ricchi, alieni e forti, oppure meno ricchi, radicati e meno forti? Meglio ormai ignari della nostra storia e vincenti, o sicuri del nostro passato e vincenti quando la sorte lo concede (come accaduto per il titolo del 1976?).
Un rebus affascinante in merito al quale sarebbe interessante che Toro.it aprisse un dibattito o un referendum.
Da parte mia, il voto andrebbe alla seconda opzione ed è per questo che auguro all’attuale presidente, fresco di due lustri di comando, di andare avanti per altrettanti e di tenersi il nostro Toro per come è e per tutto il patrimonio di storia e ricchezza umana che si porta dietro.