“Voglio una squadra da 10. Questo gruppo può essere protagonista vero. E non lo siamo ancora. Lo saremo quando tutti parleranno della nostra diversità. Del nostro modo speciale di fare calcio. Quando tutta l’Italia tornerà veramente ad accorgersi del Toro. Non solo perché esiste. Non solo per la grinta proverbiale. E’ un discorso ben più ampio. Penso all’immagine a tutto tondo che dobbiamo esportare. Bel gioco, divertimento. Simpatia. Impeto e sportività. Voglio che la gente delle altre squadre faccia la fila ai botteghini per poter vedere il Toro giocare a casa loro. Per vedere se è vero che siamo così bravi. Il mio obiettivo è esportare sempre più e sempre meglio l’immagine e l’essenza del Toro. Voglio che parlino di noi un po’ dappertutto. Che parlino del Toro per quello che è e per quello che ha. Non soltanto perché lotta: ma perché c’è. Arriva il Toro: e la gente accorre piena di curiosità ed emozione. Ecco l’obiettivo. Io vivo anche di ideali”.
Giampiero Ventura, 02 ottobre 2011

 

Scrivo queste poche righe sul treno che da Roma mi porta a Torino. Poco fa un amico mi ha girato queste frasi di Ventura, che – confesso – avevo dimenticato. Forse perché quando le pronunciò mi sembrarono troppo assurde per essere vere. E invece. E invece sono su questo treno perché stasera il Toro si gioca contro lo Zenit di San Pietroburgo l’accesso ai quarti di finale di una coppa europea, e nonostante il 2-0 in Russia il nostro cuore ci dice che tutto è possibile. E il bello è che finalmente anche i nostri giocatori e il nostro mister lo pensano davvero. La partita di lunedì è già un ricordo lontano, così come le polemiche sulla formazione messa in campo. Ho in testa solo la partita di stasera. La aspettavo da troppi anni per non perderci il sonno, per non essermi già immaginato tutto e il contrario di tutto. Lo stadio una bolgia, noi che vinciamo all’ultimo minuto e passiamo il turno, noi che perdiamo male male, noi che vinciamo ma non passiamo il turno, noi che pareggiamo o perdiamo “bene”, tutte le possibilità sono state esplorate dalla mia testa che da giovedì scorso trema e attende questa sera.

Ce la siamo meritata, noi tutti – tutti – che eravamo ad Ascoli quattro anni fa (anche chi non c’era fisicamente, ma c’era perché c’era il Toro). Noi tutti – tutti – che se ce l’avessero detto dopo lo 0-0 con il Genoa avremmo riso per non incazzarci. Noi tutti – tutti – che piangevamo dopo il gol annullato ad Arma contro il Brescia. Noi tutti – tutti – che ancora sentiamo l’eco dell’urlo del Delle Alpi dopo il colpo di testa di Nicola, contro il Mantova. Noi tutti – quasi tutti – che quest’estate avevamo già deciso che saremmo usciti subito dalla coppa, e che avremmo lottato per salvarci fino all’ultimo. Ce lo meritiamo come se lo meritano i nostri giocatori, il nostro mister, la nostra società, la nostra storia. E penso davvero che non importa come finirà, che quello che conta è esserci, dare tutto, piuttosto morire sul campo ma non arrendersi. E poi quel che sarà sarà. Dopo la notte di Bilbao ho avuto la speranza e la certezza che quello per noi non è stato un punto di arrivo, ma che può e deve essere un punto di partenza. Ai tifosi che già hanno l’aria del “è stato bello finché è durato, in coppa torneremo tra vent’anni” mi viene da dire “guarda”. Guarda dove eravamo e dove siamo. Siamo dove eravamo stati un tempo e poi non più. Guarda che meraviglia tutte queste sciarpe granata, questi cuori in fiamme come dopo il primo appuntamento con la ragazza della nostra vita. Guarda gli occhi dei ragazzi che scenderanno in campo questa sera, se per un momento fai silenzio puoi sentire il battito del loro cuore, e il respiro così profondo che se lo ascolti bene lo senti che dice “To-ro, To-ro”, con un ritmo che tutti noi conosciamo fin da piccoli.

L’allenatore della squadra avversaria, uno che ha già vinto molto e allena campioni da anni, dice di non fidarsi, che il Toro può far male. E non è solo pretattica. E’ che Ventura aveva ragione, quel 2 ottobre di quattro anni fa. Siamo tornati ad essere il Toro, avversari ed esperti di calcio ci rispettano, ci temono, e soprattutto non parlano più di “sorpresa”. Bilbao è un punto di partenza.

Quando guarderemo entrare le squadre in campo questa sera, e le vedremo un po’ sfocate per via delle lacrime che ci inumidiranno i cuori; quando dalla nostra gola usciranno i canti che sappiamo a memoria, e saranno un po’ rauchi all’inizio, per via di quel nodo che ci stringe proprio lì; quando non riusciremo a ingurgitare nulla perché lo stomaco si starà accartocciando come se in campo dovessimo scendere noi; quando sentiremo il fischio d’inizio, ma i nostri timpani saranno pieni dei nostri cori; quando succederà tutto questo, stasera alle 21.05, penseremo ancora una volta alla fortuna che abbiamo avuto nella vita, a poter tifare questi colori e questa storia, e a come questa storia sia di nuovo a portata. Comunque vada. Noi siamo il Toro. Non abbiamo paura di nessuno. Ce lo eravamo solo dimenticato. Adesso non più, adesso lo sappiamo bene.


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