È un brusco risveglio, alleggerito dallo schiaffo casalingo contro l’Empoli che aveva, di fatto, preparato al peggio anche i più speranzosi. Il Toro si infrange contro il muro del Genoa, torna a casa con un passivo pesantissimo e la stagione può dirsi chiusa, senza aspettare che la matematica lo sentenzi.
In un’annata nella quale tanti record erano stati abbattuti, di quello di ieri sera (la peggior sconfitta dell’era Ventura) si sarebbe volentieri fatto a meno. Dalla vittoria a Bilbao, a quella nel derby dopo vent’anni, fino ai successi contro due “grandi” come Inter (a San Siro) e Napoli: questo Toro è lo stesso che ha inanellato una striscia di dodici risultati utili consecutivi e che si è arreso allo Zenit agli ottavi con molto rammarico. Solo è arrivato a giocarsi le partite più importanti ormai stremato, al contrario di dodici mesi fa. La panchina corta, la tenuta mentale: onesti gli stessi giocatori nel riconoscere che quello che spesso nei momenti di difficoltà aveva fatto la differenza – l’aspetto psicologico – abbia ieri tradito la squadra stessa e il suo allenatore.
Cinque sberle saranno dure da digerire e apriranno nuovi scenari. Sì, perché era chiaro fin dall’inizio che a seconda del raggiungimento o meno dell’Europa League la società si sarebbe mossa in una direzione o in un’altra. Con i “se” e con i “ma” non si va mai troppo lontano, ma il rammarico maggiore di questo Toro è sicuramente quello di essere arrivato al rush finale con poca benzina e un po’ meno stimoli del solito. Difficile pretendere da una rosa tanto ristretta un altro miracolo: e così senza bisogno di tornare alle scelte di gennaio, che pure hanno portato a Maxi Lopez, è evidente che nel costruire la squadra del prossimo anno si dovrà fare tesoro di quanto accaduto nell’ultimo periodo. Fissare gli obiettivi sin dall’inizio, senza ritrovarsi strada facendo a dover continuamente aggiustare il tiro.