Notte in piedi, notte di ieri, notte di sogni. E notti di pensieri. E chi dorme in una notte così? L’impresa di Bilbao è già entrata nella leggenda granata, gliela racconteremo ai nostri nipoti insieme alle traverse di Amsterdam, alla buca di Maspero, al gol di Puliciclone contro la Fiorentina che poi Mazzone si alzò a stringergli la mano, allo scudetto del ‘76. Ieri sera abbiamo versato lacrime, fratello, diciamolo pure mentre il grande Matteo italiano, ovviamente Darmian, infilava la porta con un tiro da esporre al Louvre. E d’improvviso, mentre la pioggia bagnava la sciarpata granata, piangevamo tutti perché l’altra notte abbiamo ritrovato il nostro Toro, il vero Toro, e che Toro. Non contano più, almeno per oggi, le divisioni: pro Cairo o contro Cairo, fan di Ventura oppure no, Amauri è vecchio oppure fa buon brodo, Padelli o Gillet (io sempre con Padelli), calciomercato buono o cattivo, non conta più nulla perché oggi conta solo questo, che il Toro è Toro, c’è ancora, esiste ed è ancora leggenda. Indistruttibile. Il Toro è quello che abbiamo visto ieri sera, lo spirito del San Mames, il Toro è l’impossibile che diventa possibile, è l’impresa che non ti aspetti, è il ribaltamento della realtà, lo sfavorito che rimonta, affronta l’ambiente ostile e lo doma. Il Toro sono gli occhi che avevano i giocatori ieri: ma li avete visti? Sembravano pronti a prendere a calci pure il Real Madrid, se se lo fossero trovati davanti. E non importa se forse non sarà mai così, quel che importa è crederci. La forza del Toro è tutta lì. Crederci davvero. Crederci fino in fondo. Crederci anche quando sembra impossibile.
E ieri sera mentre brindavo a birra e lacrime con mio figlio Lorenzo, che ha vent’anni e che è cresciuto in Brianza con gli amici che gli dicevano: “Ma il Toro è una squadra? Davvero? Come l’Inter o il Milan?”, mio figlio Lorenzo che s’è sorbito con me la trasferta di Bergamo, ma non con l’Atalanta: con l’Albinoleffe, mio figlio Lorenzo che la prima volta che scese in piazza per il Toro non era per festeggiare uno scudetto ma per rendere meno amara un’umiliante retrocessione, ebbene ho capito perché valeva la pena sopportare tutto quello che abbiamo sopportato in questi anni. Perché adesso è bello. Adesso è Toro. Vero Toro. Successo bagnato nella sofferenza. Mia moglie mi ha incorniciato i giornali sul Grande Torino che mi hanno regalato alcuni anziani lettori. Domani li appenderò nel mio ufficio, simbolo di una fiammella che da capitan Valentino a capitan Glik non si è spenta. E non si spegnerà mai.


Edera e Zaccagno in Nazionale

Giù le mani da Cairo