Esclusiva / Il sacerdote delle celebrazioni di Superga per il Grande Torino: “Il 4 maggio è un’incognita. In questo momento dico: ringiovaniamoci”
Don Riccardo Robella sceglie di videochiamarci su Whatsapp, tra uno streaming e l’altro. La comunitĂ nel pieno della tragica emergenza Coronavirus, avvicinata dalla tecnologia: “Un surrogato ma meglio di niente”. Il sacerdote che ogni anno celebra la messa di Superga in memoria del Grande Torino è, tutti i giorni, Parroco della Santissima TrinitĂ di Nichelino. Le sue messe, per il momento, sono solo virtuali. Ma necessarie, ci dice, perchĂ© le persone hanno bisogno di coraggio. E – chiediamo – quella del 4 maggio al Colle come potrebbe essere? “E’ tutto legato ai picchi o, speriamo, ai crolli del contagio. Quella dello streaming è una possibilitĂ , ma vedremo con la dirigenza. Sentirò presto Comi e Barile, anche se penso che una decisione sarĂ presa quasi all’ultimo minuto”.
Questo è un “tempo oscuro”, ma anche un momento in cui sboccia in ciascuno di noi il senso di responsabilitĂ , ha detto Papa Francesco. Si ritrova in questa immagine?
Non è un tempo unico, questo, nella storia dell’umanitĂ . E’ il primo che viviamo noi, che abbiamo qualche anno in meno. Io faccio sempre il confronto con la peste del 1348, ma al di fuori dell’Europa, in alcune parti del Mondo, alcune forme epidemiche sono ricorrenti. Questo è un tempo di opportunitĂ nel momento in cui lo riusciamo a sfruttare, in cui comprendiamo che non è il momento della paura ma del coraggio. In cui ripensiamo a noi stessi.
L’aiuto di Dio, attraverso la preghiera. E quello degli uomini, medici e infermieri, chi è in prima linea.
Certo. Ognuno ha il suo compito. Io dicevo, scherzando, che scienza piĂą San Rocco (il protettore delle pestilenze) fanno miracoli. Noi abbiamo il compito di pregare, ma se si pensasse di risolvere tutto con la preghiera questa si ridurrebbe alla magia. Ad ogni modo io sono convinto che molti medici si affidino a Dio.
Don Robella: “Coronavirus? Non dare addio ai defunti la cosa piĂą triste”
Si sono viste tante comunitĂ , in questi giorni. Di solidarietĂ , di buon vicinato. L’umanitĂ si reinventa?
L’uomo è un animale comunitario, inevitabilmente. Oggi, ad esempio, dopo giorni che non li sentivo ho ricontattato tutti i miei animatori della Parrocchia su Skype. E ci rivedremo tutti i sabati. Si ha bisogno di fare comunitĂ , soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo.
Abbiamo raccontato, una settimana fa, la storia del Toro Club di Casalpusterlengo. La cosa piĂą difficile, dicevano, è non poter dare l’addio ai propri cari. Come si vive tutto questo?
Noi, in zona, abbiamo avuto un paio di persone che sono mancate a causa del Coronavirus. L’ultimo saluto non viene quasi neanche dato al cimitero, è molto limitante. Io cerco di dare il minimo di dignitĂ al momento, rimandando a una preghiera che faremo per i defunti quando sarĂ tutto finito. Non poter dare l’addio è l’aspetto piĂą triste: morire è il momento importante della vita dell’uomo.
Attorno a lei, a Nichelino, cosa vede in questi giorni?
Sto vedendo la mia comunitĂ grazie ai social. E questo sta accadendo anche a molti dei miei confratelli. Questo ci permette di non lasciare sole le persone. Io di solito faccio la messa alle 18 e poi leggo una fiaba per i bambini alle 21, una buonanotte. C’è bisogno che qualcuno dia coraggio a tutti. La razza umana non si estinguerĂ di questo, bisogna solo capire quando si potrĂ ricominciare.

“Prendersi cura degli altri: questo, è il cambiamento”
Superga, le messe, ma anche i tanti momenti di comunitĂ che costellano la vita di ciascun essere umano: come si sostituisce l’aggregazione fisica, reale, con quella solo virtuale?
Quella virtuale è un surrogato, su questo bisogna essere chiari. Però tra il nulla e questo è meglio questo. Quantomeno si riesce a dar coraggio. Io ho avuto qualcuno che mi ha scritto che fa fatica ad andare avanti. Gli ho risposto che ci rialzeremo e torneremo a camminare.
Per il popolo granata: come si sfrutta questo tempo?
Guardando al futuro. Potrebbe essere l’occasione di non essere piĂą schiavi di come facevamo le cose nel passato e reinventarci. Ringiovaniamoci nel cuore e nella testa. E’ giovane chi sa prendere ciò che gli è stato dato e lo sa rendere qualcosa di nuovo.
Questa esperienza ci segnerĂ : come se lo immagina il ‘dopo’?
Mi verrebbe da dire: me lo auguro che ci segni. L’importante è non tornare a fare gli stessi errori di prima.
Ancora, chiudendo con Papa Francesco: il senso di responsabilità individuale come riscoperta degli altri. Stare a casa è un piccolo gesto di amore?
A me chiedono se ho paura del Coronavirus. Io no, perchĂ© stimo i miei anticorpi e sono un omone sano. La mia preoccupazione è di non essere inconsapevolmente un vettore: per questo, per rispetto degli altri, vanno seguite tutte le normative in maniera rigorosa. E’ un prendersi cura di. Ma anche evitare il ragionamento secondo cui l’altro possa farmi del male, la mentalitĂ del “dagli all’untore”. Questo sarebbe giĂ un grosso cambio nel modo che abbiamo di pensare.
la salute prima di tutto. non si può pensare di salire a Superga a migliaia e stare belli stretti, nel pieno di una epidemia mondiale. a bergamo fanno spola i camion militari per portare via i morti, ma di cosa parliamo? il bollettino giornaliero è da guerra vera poi c’è… Leggi il resto »