Esclusiva / Il Mondonico allenatore, a due anni dalla scomparsa, lo ricorda Fortunato: “Era due persone diverse, in campo e fuori”

L’istinto dice di provarci sempre. La saggezza di aspettare e affondare al momento giusto. Emiliano Mondonico portava l’uno e l’altra nel suo modo di insegnare calcio. Perché lo 0-0 è una base da preservare, certo, ma poi vincere fa godere. Come nel 1993: il suo Torino conquista la Coppa Italia a Roma, dopo una finale pazza. “Fu l’ultima felicità che abbiamo potuto dare e avere”, raccontava il Mondo. “Vivere una cavalcata così con un allenatore come lui è stato un livello più alto rispetto alle altre gioie della mia carriera”, ricorda Daniele Fortunato, uno dei protagonisti di quel successo.

Fortunato ricorda Mondonico: l’intervista

“Conoscerlo significava avere a che fare con due persone diverse”, ci dice al telefono l’ex centrocampista. “Non era facile essere suo giocatore, era più facile essergli amico. Era un po’ dottor Jekyll e mister Hyde. A me dava tante responsabilità: mi riteneva colpevole di tutto quanto di negativo accadeva durante la partita. Nella vita privata era un uomo semplice, di compagnia, divertente: non gli trovavo difetti”.

L’uomo e l’allenatore. In campo Emiliano si trasformava: “Molti giocatori hanno sofferto la sua personalità. Ma lui mi diceva sempre ‘Daniele, quando non ti sto più addosso vuol dire che non mi puoi dare più niente’”.

Quelle ‘amnesie’: “Finite le partite quasi non si ricordava degli attriti”

Il terreno di gioco come calderone di passioni. Ma il calcio non era la vita, Mondonico lo sapeva bene. E allora, fuori da lì, la tensione scemava: “Finite le partite quasi non si ricordava più degli attriti che aveva avuto con i calciatori”.

Tante bastonate, per gestire il gruppo. Eppure dietro alla fermezza c’era l’empatia di un padre, così come ama sempre ricordarlo Gigi Lentini, l’ala che con Emiliano in panchina ha dato il meglio di sé.

Due persone, una in campo e una fuori

Guida severa, mai disumana. Condottiero capace, innanzitutto. Fortunato, che ha seguito il Mondo come vice a Cosenza, Napoli e all’Albinoleffe, lo fotografa così: “Era un grande conoscitore di calcio. Ho avuto sempre la sensazione che dalla panchina potesse aiutare davvero: è stato uno dei pochi allenatori che ho avuto a trasmettermi questo”.

L’idea di gioco e lo spirito per renderla concreta. Mondonico era un uomo col pallone sottobraccio: consapevole della serietà che quell’oggetto si porta dietro per chi lo calcia per professione, ma anche della leggerezza di cui necessita per rotolare, sorprendere. E così amava i calciatori estrosi, come fu lui in gioventù, ma non poteva fare a meno dei rocciosi e degli equilibratori. Istinto e saggezza, insieme.

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ultimo aggiornamento: 29-03-2020


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vecchiamaniera
4 anni fa

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