Esclusiva / Riproponiamo l’intervista del 24 maggio del 2017, in occasione della rinascita del Filadelfia, a Sergio Vatta: “Spero che il Fila possa essere sempre aperto ai tifosi”
Il Mago delle giovanili, Sergio Vatta, improvvisamente scomparso il 23 luglio del 2020, a pochi mesi dal suo compleanno numero 83. Legato indissolubilmente ai colori granata, forgiatore di talenti, in grado di lanciare nella massima serie giocatori come Vieri, Dino Baggio, Fuser, Cravero e tanti altri. Ecco come aveva salutato, nel 2017, la rinascita del Filadelfia.
Sergio Vatta, una vita da guida del settore giovanile al Filadelfia. Quali sono le sue sensazioni in vista di questa rinascita?
Quello che provo è un’emozione indescrivibile. Non è facile ricreare il sentimento di quando c’era quel cancello rosso con il toro rampante in rilievo. Vederlo tutto sgangherato, con l’erba del campo alta due metri mi ha fatto male. Mia moglie quando l’ha visto si è addirittura messa a piangere. Io le ho detto: “Stai tranquilla che adesso lo rifaranno, lo metteranno in ordine”. Ed effettivamente così è stato e devo dire che hanno fatto un bel lavoro. Certamente non sarà per il grande pubblico, ma per 4000 persone che per seguire gli allenamenti comunque vanno bene. Bisogna vedere se li lasceranno entrare quei 4000 che ci starebbero. Per ciò che riguarda il mio sentimento ricordo la prima volta che sono entrato nel vecchio Fila. Entrai in punta di piedi, non volevo mettere fuori posto neanche un sassolino. Ero entrato in un monumento, in una chiesa e avevo paura di disturbare, di non meritare di stare lì dentro. Poi è successo che un giorno mi dissi: “Un giorno io qui verrò ad allenare”. Ed è avvenuto. Prima mi diedero la Berretti e vincemmo il titolo e poi con la Primavera è nata quest’epopea.
Quali sono stati i segreti delle sue giovanili?
Uno di sicuro è stato il preparatore Giuseppe Trucchi, direttore dell’ISEF di Torino e preparatore della squadra. Ma anche tutti i membri dello staff, persone competenti e tutte le volte che ci incontravamo tutti insieme lo capivo. Il nostro obiettivo era guardare al futuro, senza legarci troppo al passato. Ma il passato del Toro è un passato prepotente: il Grande Torino è su tutto e su tutti. Per me è la più grande squadra di club che l’Italia abbia mai avuto. Quando i ragazzi arrivavano, aleggiava nell’aria questo sentimento verso questa società speciale. I nostri tifosi, poi, non erano semplici sostenitori: insieme con noi facevano una famiglia.
Tanti successi, ma anche tanti campioni lanciati…
Sì, il primo ad esordire in Serie A è stato Mandorlini che poi ha fatto una grande carriera. E poi dietro di lui molti, molti altri, una sessantina più o meno. Divenne quasi un’abitudine la mia riunione con il direttore della società, Moggi negli ultimi anni, per preparare l’elenco dei giocatori delle giovanili con tanto di caratteristiche e di categoria in cui sarebbero dovuti andare a giocare. Compresi quelli già pronti per la A. Un ragazzo dei nostri, poi arrivato in Serie A con il Brescia a precisa domanda sul settore giovanile granata disse: “Lì vivevamo da “Saranno famosi”. Concentrò in tre parole tutto quello che era il clima del Fila. Tutti gli anni riuscivamo a trovare non uno o due, ma cinque o sei giocatori da lanciare in prima squadra.
Che apporto può dare la rinascita del Fila al Settore giovanile granata?
Sono curioso di sapere quali decisioni verranno prese riguardo al settore giovanile. Mi auguro che questi anni difficili, nonostante l’arrivo di Cairo che ha salvato la società, siano serviti da lezione per ciò che dovrà essere in futuro. Noi non avevamo soldi. La società viveva grazie alle seconde linee provenienti dalla Primavera. Sapevamo prendere quelli giusti, conoscevamo le caratteristiche di ognuno: c’era chi aveva il fisico, ma non la testa e allora io sceglievo una società con l’allenatore migliore per la crescita in tal senso. Spesso è questo ciò che manca agli allenatori odierni del settore giovanile: la pazienza di aspettare i ragazzi. Hanno più fretta di arrivare loro che i loro calciatori. Ma ciò che conta davvero è la consapevolezza che un ragazzo ha di se stesso: quello che impara lui da solo in un giorno, io non glielo posso insegnare in una anno intero. Per far crescere il livello di un gruppo è importante il lavoro individuale, altrimenti si resta fermi.
Qual era la differenza tra un ragazzo cresciuto al Fila e uno cresciuto in un altro settore giovanile?
Forse il segreto stava proprio nella pazienza che mettevamo nell’aspettare i ragazzi. E il gruppo ne beneficiava, tanto che quando mettevo fine all’allenamento i giocatori insistevano affinché continuasse ancora un po’. Esemplificativo è il caso di Vieri. Il primo giorno del ritiro a Macugnaga mi disse: “Mister io voglio andare via perché sono il più scarso di tutti”. Io risposi: “E’ vero, ma spiegami perché tutte le volte che sei di fronte alla porta riesci a segnare quasi sempre. Ora andiamo a vedere come si può migliorare questa qualità con i consigli giusti”. Da quel giorno alla fine del ritiro passò ogni giorno a calciare in porta e da lì ho capito che non avrebbe mai mollato e sarebbe diventato qualcuno.
Vatta, oggi verranno aperte le nuove strutture. Ma quei valori di famiglia e unità d’intenti potranno mai tornare?
Quella è stata un’epopea. C’era tanta gente che lavorava, tanti maestri di calcio. Io cercavo di fare un po’ il fratello e con gli altri ci confrontavamo spesso su come avremmo potuto migliorare negli insegnamenti di offrire ai ragazzi. Per ora è difficile capire se tutto questo potrà tornare. Io aspetto il Fila, ma anche l’impatto del Fila. Perché se lo chiudono per gli allenamenti della prima squadra, impedendo ai tifosi di entrare, o la Primavera non si allenerà pressoché in contemporanea sarà difficile ricreare lo stesso clima. I ragazzi hanno tanto da imparare e se non vedranno gli allenamenti della prima squadra giornalmente è difficile che possano capire come si diventa veri calciatori.