Nel famoso articolo “Is Google Making Us Stupid?” uscito sul magazine Atlantic nel 2008, Nicholas Carr lamentava di essere regredito da un subacqueo nel mare delle parole a un ragazzino in acquascooter che passa a grande velocità sulla superficie per poi citare il caso di Bruce Friedman, patologo e creatore di un blog medico, il quale riconosceva sconsolato come la sua facoltà di pensiero avesse assunto un che di “staccato”.

Da Guerra e Pace a Moby Dick: la teoria di Baricco

Il medico affermava quindi che sarebbe più stato in grado di leggere un testo voluminoso e impegnativo come quello del grande romanzo di Tolstoj, Guerra e pace. Lo stesso Alessandro Baricco qualche tempo fa fece parlare di sé per la sua teoria “innovativa” su Moby Dick, il capolavoro di Herman Melville, nonché una delle colonne portanti della letteratura americana di metà Ottocento. Secondo lo scrittore torinese, un’opera come quella di Melville oggi avrebbe incontrato non poche difficoltà prima di arrivare alla pubblicazione, alla notorietà e quindi al successo.

Probabilmente non sarebbe passato alla storia come uno dei romanzi più significativi e importanti della propria generazione e non solo. Tornando a Bruce Friedman, il medico con la passione per il blog, parlò di incapacità di restare concentrato, leggendo un post di due o tre paragrafi sul web, sia esso un articolo scientifico, un blog di cucina o una recensione musicale o di videogiochi.

È proprio vero che Internet ci renderà più stupidi o solo meno presenti?

L’articolo di Carr venne poi meglio sviluppato e ampliato nel libro dal titolo Internet ci rende stupidi? Come la rete sta modificando il nostro cervello, pubblicato nel 2010, il quale come prevedibile suscitò un profluvio di reazioni, alcune anche un po’ scomposte ed eccessive. Alcuni infatti lo accusarono di essere un luddista nostalgico di Gutenberg, ma molti altri invece si dichiararono in sintonia con la sensazione che l’esistenza sul web stesse interferendo con la nostra capacità di concentrazione sul lavoro, sulla necessità umana di abbandonarci al divertimento, aspetto che diventa sempre più raro e meno frequente, nel corso del tempo. Pensiamo anche che in questa fase i social network, almeno in Italia, non erano ancora così diffusi e utilizzati, mentre in altri posti come ad esempio gli Stati Uniti o il Regno Unito, la loro diffusione era diventata un tratto distintivo, perlomeno per i geek e per la generazione dei cosiddetti nativi digitali.

La teoria del zigzag secondo Matthew Cole

In un articolo apparso sulla webzine Geometer, Matthew Cole riprese la riflessione di Carr su quelli che vengono definiti gli hyperlink, i quali, a differenza di una nota a piè di pagina, non si limitano a suggerirci opere e testi correlati, bensì ci proiettano verso di esse, per descrivere la vita in rete come “uno stato perpetuo di quasi decisione”. Un vacillante e superficiale zigzag che dà l’illusione di agire e decidere, ma che in realtà è una pericolosa forma di paralisi.

Come cambia il modo di interazione e di fruizione dei prodotti digitali multimediali

All’epoca si parlava poco del potere dell’algoritmo e non c’erano ancora realtà consolidate come le piattaforme di streaming video quali Netflix, Prime Video o Disney Plus. Non solo: anche lo stesso YouTube non era ancora il canale video e di broadcasting, capace di bypassare il sistema televisivo tradizionale. Non erano ancora venute fuori realtà come Twitch.tv e non si stava parlando di eSports e di gaming con la stessa frequenza odierna. Anche il modo di fruire di musica in modo digitale tramite piattaforme come Spotify e iTunes, non era così evidente come lo è oggi. Gli smartphone stessi erano ancora nella loro prima fase, visto che il primo modello di iPhone era stato lanciato con successo solo nei Paesi più industrializzati, durante l’autunno del 2007.

Il settore videoludico stava andando molto bene e stava realizzando ottimi profitti, ma non c’era ancora stato il boom mediatico della pokermania, che avrebbe coinvolto una fetta consistente di Occidente, con le realtà dei casino online che erano ancora un fenomeno di nicchia per veri appassionati e giocatori di livello PRO.

“Troppo lungo, non l’ho letto” – Che cosa significa per chi produce testi

Per molti versi questa capricciosa facilità alla distrazione è la naturale conseguenza della sovrabbondanza di stimoli. Al terrificante “troppo lungo, non l’ho letto”, devono ancora fare seguito “troppo lungo, non l’ho ascoltato” e “non l’ho guardato”, nel caso degli audiovisivi. In effetti siamo già giunti al punto di fare skip anche su un video di YouTube, il quale oggi viene per facilità di visione suddiviso in capitoli e sezioni, manco fosse appunto un’opera complessa e “disordinata” secondo i parametri e criteri attuali come un romanzo di Dostoevskij, Melville o James Joyce. Questa forma di sindrome da deficit di attenzione multimediale è diventato ormai il criterio con cui vengono realizzate opere come film, serie tv, dischi, videogiochi e naturalmente libri di ogni genere e tipologia.


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