La vita in cascina, il Toro, le sue battaglie più dure, in campo e fuori: Emiliano Mondonico festeggia da lassù il suo compleanno

Io un giorno crescerò,
e nel cielo della vita volerò,
ma un bimbo che ne sa,
sempre azzurra non può essere l’età,
poi una notte di settembre mi svegliai
il vento sulla pelle,
sul mio corpo il chiarore delle stelle
chissà dov’era casa mia
e quel bambino che giocava in un cortile:
Io vagabondo che son io,
vagabondo che non sono altro…”


Sembra ancora di sentirlo cantare, Mondo, con la sua voce inconfondibile e qualche acuto di troppo. Perché Mondo amava i Rolling Stones, mica i Beatles; e nel ’67, pur di andarli a vedere in concerto al PalaLido, pianificò una strategia terribile e genuina: farsi espellere la settimana prima, in modo da saltare una trasferta a Mestre. I Nomadi, invece, erano suoi grandi amici ed “Io vagabondo” era la sua canzone preferita, tanto che era facile sentirlo cantare mentre passeggiava in cascina o nelle immancabili tavolate estive, dove la chitarra non mancava mai.

Già, la cascina di Rivolta d’Adda, acquistata e rimessa a posto, un pezzo dopo l’altro con la moglie Carla. Quello era il suo buen retiro, il centro del mondo dove avevi la certezza di trovarlo sempre. Perché non ha mai lasciato il paese, Mondo, a parte la parentesi in cui allenò il Toro; perché in fondo Torino, via Servais, era la sua seconda casa.

Da bimbo, Mondo era cresciuto con un grande amico che portava sempre sotto al braccio, il pallone: “Lui non mi ha mai tradito” raccontava da grandicello, ricordando i tempi andati in cui si presentava a scuola con la cartella ed il pallone.

Erano i tempi in cui i genitori gestivano una trattoria sull’Adda che sembrava così lontana dal mondo, dove si mangiava quel salame fatto in casa che per lui era sacro, quasi una religione.

Era nato proprio lì, in riva al fiume, quel gesto che poi divenne in tutto il mondo il “suo” gesto. Non fu un atteggiamento studiato o provato in favore di telecamera, quella sedia alzata nel cielo di Amsterdam per ribellarsi contro i potenti di turno. Fu un gesto che ricordava invece da vicino le allegre mangiate sotto casa, quando il vino scorreva a fiumi e quando una partita a carte diventava vitale più di una finale di Champions League, o di Coppa Uefa.

E così, dopo una partita persa a carte, i contendenti si affidavano alla sedia: la alzavano al cielo e iniziavano a brandirla, quasi fosse un’arma da osteria.

Se Rivolta è stata la casa, il calcio è stato il suo mondo, pur interpretato in maniera anacronistica. Perché la strada del Mondo è lastricata di successi fantastici e di vittorie indimenticabili; eppure sono le sconfitte a diventare memorabili, volendo ancor più belle. Sconfitte senza mai piegarsi di fronte al vincitore, senza mai abbassare lo sguardo, senza mai smarrire orgoglio e dignità.

Ed è così che lo ricordano i giocatori che Mondo ha lanciato nel mondo dei grandi: da Gigi Lentini e Gianluca Vialli, da Bobo Vieri a Pippo Inzaghi, tutta gente che ha considerato il Mondo come un papà.

Poi, qualche anno dopo, si dedicò ai ragazzi dell’Approdo che cercano di uscire dalle dipendenze, e alla Nazionale amputati che sono campioni del mondo di volontà. L’allenamento con loro, quello del mercoledì mattina, era la cosa più importante; anche quando, in una fredda mattina di fine gennaio 2011, gli venne diagnosticata la malattia. Emiliano reagisce nel modo migliore del mondo: annuncia ai ragazzi dell’Albinoleffe che se ne va un mese in vacanza alle Maldive, poi si fa operare prima di tornare in panchina in tempo per salvare la sua squadra nei playout.

In quei giorni iniziava la partita più dura, Mondo. Ma tu non l’hai persa. Hai vinto. Perché sei sempre fra noi.

Emiliano Mondonico
Emiliano Mondonico
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ultimo aggiornamento: 09-03-2024


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Fandango
4 mesi fa

Il mio calcio, tutto il resto è noia….

James 75
4 mesi fa

Ti voglio e vorrò sempre bene Emiliano, sportivamente parlando sei un pezzo del mio cuore altro che il Croato
.. Mediocre… Inutile…Merd…. A…. umana…. Grande Emiliano….

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