L’esterno a Firenze, a gennaio, aveva lasciato la squadra in dieci dopo mezz’ora. Da allora nove panchine in dieci gare. Fino a ieri…
Da quei 33 minuti di Firenze, da quel diciannove gennaio scorso, Ali Dembelé era praticamente sparito dai radar. Al Franchi, titolare per esigenze ma pure per scelta di Vanoli, l’ex Primavera aveva collezionato due gialli che avevano costretto la squadra in dieci già dal primo tempo. Da un pomeriggio da dimenticare, un pomeriggio di lacrime pur col sostegno di squadra e allenatore, a una serata che lo stesso esterno ha definito “la più bella”, quella impreziosita da un gol sotto la Maratona. Dalle lacrime a quel bel sorriso mostrato prima sul terreno di gioco, mentre riceveva l’abbraccio dei compagni e mentre lo stadio scandiva il suo nome, poi in sala stampa, quasi timido nel raccontare la fine di un percorso, la chiusura di un cerchio. In tre mesi Dembelé aveva giocato appena 8 minuti col Milan: nove volte in panchina su dieci partite, quella contro i rossoneri appunto, poi ieri l’occasione nell’ultimo quarto d’ora, col risultato ancora in bilico.
Vanoli ha sempre speso parole importanti per un giocatore che ha già avuto modo di conoscere a Venezia la scorsa stagione. Il sostegno di fronte alle telecamere, quello in privato, la disponibilità ricevuta in cambio dal giocatore in allenamento. Ed è così che l’allenatore non ha mai veramente perso Dembelé, calciatore al quale non è mai mancata la fiducia di tutto l’ambiente. Un gol importante in un momento delicato del match, pur in una partita che non metteva in palio punti pesanti. Ma è anche ciò che ci aspettiamo da questo finale di stagione scarico di obiettivi: giovani da mettere in vetrina, come accaduto con Njie e ieri con Perciun, calciatori con la voglia di riscattarsi. Storie da raccontare e bei finali: in attesa che però, ad un certo punto, i primi ad essere soddisfatti siano i tifosi.
