Una competizione che regala l’Europa, che vale un trofeo: il Torino dovrebbe puntare sempre e con forza a questa Coppa, invece non lo fa mai

Definirlo un obiettivo e lottare per raggiungerlo: dovrebbe essere un imperativo. Spalancherebbe le porte per l’Europa, permette di impreziosire bacheche ormai impolverate. Quante volte, ad ogni inizio di stagione, abbiamo dovuto sottolinearlo. Invece la Coppa Italia, l’ultimo trofeo che il Torino – non quello di Cairo, arrivato al massimo ai quarti di finale – ha messo in bacheca nel 1993, da queste parti è diventata un fastidio. Un po’ di turnover, la testa da un’altra parte ed ecco che puntuale arriva l’eliminazione. Di anno in anno, con qualche eccezione qua e là, ma sempre con uno sforzo minimo. C’è sempre qualcosa di più importante: una partita in un campionato in cui la massima ambizione è arrivare decimi. La Coppa Italia è un trofeo che darebbe gioia ad una piazza ormai costretta a marciare per protestare e non per festeggiare, una piazza che da anni assiste rassegnata alle imprese degli altri. In questo caso – il presidente Cairo lo ha potuto osservare ancora più da vicino, dallo stadio – al trionfo del Bologna dopo 51 anni. Lo scorso anno la qualificazione in Champions, quest’anno la forza di far fronte a cessioni eccellenti con la capacità di trovare sul mercato alternative valide, per non lasciare che quella restasse solo la stagione dell’exploit. Cosa serve? Un progetto, un direttore sportivo capace, l’idea di voler essere protagonisti. Ieri l’Atalanta, oggi il Bologna: la prossima da invidiare quale sarà?

Urbano Cairo, chairman of Torino FC, looks on prior to the Serie A football match between Torino FC and Empoli FC.
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ultimo aggiornamento: 15-05-2025