Intervista a Walter Casagrande, uno dei protagonisti della doppia finale di Coppa Uefa contro l’Amsterdam: “La Juve? Noi pensavamo più al Real Madrid”.

Un uomo, un simbolo, un grande giocatore. Walter Casagrande in due anni di Toro ha dato tantissimo: ha regalato gioie, ha regalato giocate di grande classe. Ha donato tutto se stesso a una causa, quella granata, alla quale ha aderito con grande entusiasmo. Torna a Torino, Casagrande, per il Gran Galà Granata, l’evento esclusivo organizzato da Toro.it e EnneCi Communication. E torna con una voglia di riabbracciare tutto il popolo granata che non ha dimenticato, anche a distanza di 25 anni da quella finale di Coppa Uefa “che avremmo meritato di vincere”.

Intanto, va detto, ritorna a Torino a distanza di tanti anni. Che effetto le ha fatto?
Sono davvero molto contento. Ho rivisto amici che non vedevo da tempo, sono molto felice. Fa davvero piacere sapere che la gente si ricorda di quello che hai fatto, è importanti. Non ne sei mai sicuro, ma evidentemente qualcosa di buono abbiamo fatto. Quella Coppa Uefa non è stata vinta, ma moralmente penso di sì: meritavamo di vincerla noi, per tutto quello che abbiamo fatto, per la storia del Toro. Il calcio purtroppo è così.

In quei pali di Amsterdam, in quella sedia alzata da Mondonico, c’è in effetti molta essenza granata.
Beh, Ajax resta il mio rimpianto più grande. Sono due partite che ho in testa, le sogno ogni volta. E poi quando fai gol in una finale, ti rimane in testa. Se c’è un momento brutto legato a quelle partite? No, in realtà non c’è. Anche perché non abbiamo rimpianti: volevamo vincere, abbiamo dato davvero tutto quello che potevamo. Per questo nessuno di noi ha pianto.

Ma allora, come è possibile perdere contro l’Ajax dopo aver battuto il Real Madrid?
Non li avevamo visti giocare. Sapevamo che giocavano simile al Milan, certo, ma non avevamo mai avuto modo di vederli. Il calcio di allora non era così mediatizzato. E poi se batti il Real sei convinto di essere imbattibile. Noi abbiamo sbagliato lì, nella gara d’andata. Pensavamo di vincere con facilità la prima partita, e invece purtroppo sbagliammo.

La sensazione è che quella squadra fece qualcosa di irripetibile e che avrebbe potuto anche aprire un ciclo.
Già, è vero. Anzi, sono sicuro che se fosse rimasto lo stesso gruppo, magari con uno o due innesti, avremmo probabilmente lottato per conquistare lo scudetto. Invece sono andati via in tanti. Ho salutato tanti amici quell’anno: ero rimasto solo io. Avevo perso, per questo, qualche motivazione: per questo l’anno dopo sono andato via, tornando in Brasile. Ma il tutto in maniera molto tranquilla: eravamo stati tutti molto chiari. Purtroppo Borsano aveva bisogno di vendere: erano andati via Lentini, Vazquez, Cravero, Policano… Ci eravamo molto indeboliti.

Fra poco a Torino si gioca il derby: una delle gare più sentite dai tifosi granata.
Quanti ricordi! Il primo lo guardai dalla panchina, e perdemmo. Al ritorno invece avremmo potuto vincere di 3 o 4 gol, eravamo davvero molto forti e avevamo morale e fiducia: ce la saremmo potuta giocare con chiunque.

Ma per voi, il derby era la gara più importante della stagione?
In parte. Era importante quando si avvicinava la gara, ma forse non era quella che aspettavamo di più tutto l’anno. Le cose arrivavano poco per volta. Insomma, potevamo vincere la Coppa Uefa! Tutti quelli che giocavano contro di noi, soffrivano. E quando al ritorno abbiamo affrontato la Juve, venivamo dalla gara contro il Real, che per noi era sicuramente più importante. Ma Mondonico ha voluto mettere la squadra principale comunque, e abbiamo giocavo benissimo. Anzi, credo che contro i bianconeri abbiamo fatto la partita perfetta, giocandocela alla pari. E poi io nei confronti della Juve provo un sentimento particolare.

Quale sarebbe?
Ho giocato nel Corinthians, nel Flamengo, nel Porto e ad Ascoli. Tutte queste squadre hanno delle rivali, degli avversari storici. Ma io come spettatore di calcio, ora, quando guardo queste rispettive avversarie non tifo contro. Con la Juve proprio non ci riesco. Voglio sempre che vinca l’altra squadra, qualsiasi essa sia. Perché quando sono arrivato a Torino, mi sono immerso in quello che è lo spirito del Toro. Quando sono arrivato, ho letto, come ho sempre fatto in verità, la storia della squadra nella quale avrei dovuto giocare. Ho quindi appreso bene dell’incidente di Superga, delle difficoltà dopo lo Scudetto del ’76… Ma sapevo già molto prima di arrivare, grazie ai racconti di mio padre, sin da quando ero bambino. Era nelle nostre mani il futuro del Toro, dovevamo fare qualcosa e credo che l’abbiamo fatto. È impossibile pensare di fare una cosa importante per il Toro, e poi tifare per la Juve, quando magari gioca contro il Barcellona…

Ma è davvero così diverso giocare al Toro?
Sì, e spiego anche facilmente il motivo. Io ho sempre giocato in società con una grande storia alle spalle: il Flamengo, per esempio, è quella con il maggior numero di tifosi in Brasile, subito dopo c’è il Corinthians. Ma qui è tutto diverso: chi viene qui non gioca solo a calcio, deve imparare anche altro. Il tifoso del Toro, e parlo soprattutto di quello più maturo, ha sofferto tanto. Bisogna capire che giocare per loro, per quel pubblico, è diverso. Io ho voluto fortemente venire nel Toro, ci ero già andato vicino nell’87, sono arrivato solo qualche anno dopo: per me è stato un successo anche solo vestire quella maglia. Forse, è stata una delle cose più importanti della mia carriera: vincere quasi passava in secondo piano, giocare era davvero più importante.

Torniamo alla sua squadra: con Mondonico che rapporto aveva?
Lui sapeva con che giocatori aveva a che fare. Nello spogliatoio parlavamo molto: lui prima della gara faceva grande opera di motivazione. Diceva a ognuno di noi cosa bisognasse fare, penso sia stato uno dei più grandi allenatori che ho avuto, anche se qualche volta abbiamo litigato e discusso, ma sempre per fare del Toro una squadra migliore, mai per questioni personali. D’altra parte, gli attaccanti vogliono una squadra che giochi avanti, i difensori che stia dietro: lui ha sempre pensato più a proteggersi che ad attaccare, era normale andare in contrasto, certe volte.

Chi di quella squadra le sembrava potesse avere il maggiore potenziale?
Lentini. Avrebbe potuto avere di fronte a lui una carriera pazzesca, e meritava sicuramente di più. Se non avesse fatto quell’incidente in macchina, il suo futuro sarebbe stato sicuramente diverso. Se ha fatto bene ad andare al Milan? Sì, nella misura in cui il Toro si era messo a cedere tutti quei giocatori. Se no, gli avrei consigliato di restare.

E adesso segue ancora il Toro?
Io ho 3 figli, di cui 2 davvero malati per il calcio: seguono tutte le partite del mondo. Le informazioni che ho sul Toro mi arrivano da loro, perché il mio lavoro di commentatore mi impedisce di avere il tempo per vedere anche altre gare oltre quelle del campionato brasiliano. Però so che al Toro è arrivato Lyanco: è un ottimo giocatore, al San Paolo, che da 3-4 anni è in crisi ma resta un top club, era sempre titolare e faceva bene. È un grosso investimento per il Toro, ha fatto bene a trasferirsi.

Lo sa che sta per rinascere il Filadelfia?
È una cosa molto importante. Quando mi allenavo io, si trovavano le parti dell’aereo del Grande Torino. La cosa che faceva riflettere è che tu giocatore arrivavi per allenarti e pensavi che su quel campo aveva giocato Valentino Mazzola, che ti cambiavi nello stesso spogliatoio di quella squadra. Respiravi il Toro: era una cosa diversa, una cosa davvero storica. Era come sentire un’energia che si mescolava a quello che tu avevi, a livello tecnico. Tutti i giorni, pensavo a queste cose. E sicuramente per noi, in quegli anni, fu davvero importante.

Casagrande giocatore, Casagrande uomo, purtroppo con un trascorso molto complicato a fine carriera. È un problema per tanti ex calciatori: cosa succede quando si smette?
Ti senti un vuoto dentro. Quando smetti con il calcio giocato, non senti più nulla che dia lo stesso piacere. Penso per esempio a Ronaldo: ha chiuso la carriera segnando due gol nella finale dei Mondiali contro la Germania. Poi quando ha smesso di giocare ha faticato a continuare a ritmi normali. Capite cosa può succedere? È molto difficile che il vuoto si riempa. Lui ha saputo risollevarsi presto, ma molti si sono persi. Il mio amico Socrates, per esempio, è morto per abuso di alcool. Io sono caduto nel tunnel della droga. È stato molto difficile tornare alla vita normale, perché quando smetti di giocare senti mancare l’adrenalina, smetti di vivere a un ritmo diverso rispetto a quello degli altri. Il calciatore diventa adulto prima, ed è normale che poi si senta disorientato. Io sono stato un anno in una clinica per riabilitarmi, e ancora adesso faccio terapia con psicologi e psichiatri. Da vent’anni faccio il commentatore in tv, e questo mi ha salvato: ho abbassato la velocità della mia vita, rendendola come quella di tutti gli altri. Solo adesso ho imparato a farlo, ma, credetemi non è stato per niente facile.


Intervista realizzata da:

Ivana Crocifisso
Valentino Della Casa
Andrea Piva


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Giankjc (più Toro e meno guinzagli&collari)

Un brasiliano che è passato da queste parti 25 anni fa, si porta dentro per tutta la vita questa essenza di moralità e genuinità granata. Per molti una lezione, per tanti altri un semplice ripasso di valori ed emozioni vissute. Grazie Walter di portare in giro per il mondo i… Leggi il resto »

marziano
marziano
6 anni fa

Volevo scrivere qualcosa ma Michele miva 1.28 ha già detto magistralmente tutto. Anche a me l’intervista a Casagrande ha risvegliato identiche emozioni e ricordi analoghi. si chiama koine’ granata, idem sentire, il richiamo della giungla che accomuna perfetti sconosciuti. poi ci son quelli che si emozionano quando discettano di bilanci… Leggi il resto »

michele-miva "mi sembrava il toro pauroso di ventura"
michele-miva "mi sembrava il toro pauroso di ventura"
6 anni fa

Intervista bellissima. L’uomo, il calcio, la vita. Leggere e respirare passato. il passato di quel bambino che ha visto quella finale con papà alla tv di stato. Quel bambino che pianse e il papà gli disse:ora sai che cosa è Toro. e il bambino disse:ma perché questa sfortuna? io volevo… Leggi il resto »

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